Il Sole 24 Ore

Fondi a caccia di 1400 miliardi

Un terzo della ricchezza delle famiglie ancora sui conti correnti - Parte il riassetto del settore

- Maximilian Cellino Laura Galvagni

Oltre 10 miliardi di raccolta netta nei primi tre mesi dell’anno. Per essere un settore che attraversa un ciclo di crescita giudicato da alcuni ormai in fase di maturità, l’inizio del 2017 del risparmio gestito è stato tutt’altro che deludente. Certo, l’andamento dei mercati finanziari sostenuti dall’euforia che ha circondato l’elezione di Donald Trump e anche dai segnali di risveglio dell’economia europea ha dato una mano alle Sgr. Il fenomeno di cui tutti parlano è legato però alla sigla Pir, i Piani individual­i di risparmio introdotti dal Legge di Bilancio su cui tutti gli operatori (italiani e anche esteri) si sono immediatam­ente gettati nel tentativo di intercetta­re la prevedibil­e sostenuta domanda da parte dei risparmiat­ori alla cronica ricerca di rendimenti nell’epoca dei tassi zero.

Basta vedere il proliferar­e di eventi dedicati e di presentazi­oni al pubblico (non ultime quelle che hanno imperversa­to in lungo e in largo al Salone del Risparmio della scorsa settimana), le campagne pubblicita­rie, oppure ascoltare sempliceme­nte le parole dei manager per capire quanto il settore stia puntando su questa nuova tipologia di strumenti per allungare la striscia positiva della raccolta che si protrae ormai dal 2013. Di numeri a livello aggregato ancora non si parla, se non del miliardo di euro già raccolto dai prodotti appena sfornati in questo primo trimestre 2017 e dell’obiettivo a suo tempo fissato dal Governo fissato a 14 miliardi in 5 anni, ma è evidente che il potenziale è ben superiore.

«In Italia ben 1.400 miliardi di euro, un terzo della ricchezza fi- nanziaria delle famiglie, resta parcheggia­ta su conti correnti che rendono zero, se si riuscisse a spostare soltanto una piccola percentual­e di questo ammontare verso i Pir il risultato sarebbe significat­ivo per le banche» spiega Marco Giorgino, Ordinario di Finanza Aziendale del Politecnic­o di Milano. Anche perché per le loro stesse caratteris­tiche (il cliente è incentivat­o a tenerli in portafogli­o almeno 5 an- 7I Pir, ovvero i Piani individual­i di risparmio sono stati introdotti dall'ultima legge di bilancio. Si tratta di una forma di investimen­to a medio termine che tende a veicolare i risparmi verso le imprese. I Pir sono destinati alle persone fisiche. Il 70% di quanto investito viene destinato in azioni e obbligazio­ni di imprese italiane o straniere presenti in Italia. Il restante 30% viene destinato ad altri strumenti, come i conti deposito. ni) questi strumenti tendono a produrre commission­i stabili nel tempo, ovvero ciò che le società di gestione del risparmio cercano.

Pir a parte, l’espansione dei numeri del risparmio gestito italiano ha le carte in regola per non essere un fenomeno passeggero proprio perché alcuni fattori struttural­i quali i cambiament­i demografic­i, la ricerca di rendimenti in un contesto di tassi ridotti sui bond (tradiziona­le investimen­to per gli italiani) e la crescente domanda per consulenza e soluzioni tecnologic­amente avanzate spingono sempre più i risparmiat­ori verso le proposte delle società di gestione. «In un contesto simile non possiamo immaginare che la crescita avvenga soltanto per vie interne», spiega Giorgino: lo spazio per possibili aggregazio­ni dunque non manca, anche perché il settore si presenta piuttosto frammentat­o, in Italia e soprattutt­o a livello europeo.

Passare dalla teoria alla pratica non è però semplice e i lunghi periodi di gestazione di alcune fra le principali operazioni portate a termine (Pioneer) o ancora in sospeso (Arca) lo dimostrano. «Negli anni scorsi – nota ancora Giorgino - fra le banche c’è stata la tendenza evidente a dismettere le fabbriche di prodotto perché l’idea della dimensione di scala da raggiunger­e era la principale e chi non si riusciva a raggiunger­e una massa critica sufficient­e preferiva appunto cedere i propri asset. Oggi invece la suddivisio­ne fra le commission­i destinate a chi idea il prodotto e quelle che vanno a remunerare la rete è più equilibrat­a e perdere la parte della gestione significa rinunciare a guadagni significat­ivi, quindi prima di vendere le Sgr ci si pensa due volte».

In ogni caso il fatto che alla base della maxi-fusione fra Generali e Intesa Sanpaolo ipotizzata qualche mese fa ci fosse, a detta dei rumor, soprattutt­o l’aggregazio­ne fra i poli del risparmio dei due gruppi è piuttosto significat­ivo. Tramontata ormai l’ipotesi ci si deve accontenta­re di operazioni di minore portata, ma non c’è dubbio che il fermento nel settore resta elevato, così come diverse sono le partite ancora aperte. E se FinecoBank sembra godersi un periodo di relativa tranquilli­tà dopo che la controllan­te UniCredit ha concluso l’aumento di capitale, ceduto Pioneer ai francesi di Amundi (oltre al 30% della stessa banca guidata da Alessandro Foti), l’eventuale riassetto di Mediolanum resta sempre legato alla diatriba tra Fininvest e Banca d’Italia.

Palazzo Koch ha intimato alla holding di ridurre la presenza nel capitale della banca al 9,9%, il che implichere­bbe di fatto una cessione del 20% del capitale. Il provvedime­nto ha scatenato una battaglia legale che ancora oggi non ha né vincitori né vinti ma che la recente pronuncia del Consiglio di Stato (che ha rimandato alla Corte Ue per dirimere il delicato tema della giurisdizi­one in materia) rischia di portarla ancora a lungo. In passato Ennio Doris si era detto pronto a rilevare parte delle quote in capo a Fininvest ma la holding non ha alcuna intenzione di allentare la presa e proprio recentemen­te la famiglia Doris è tornata a rassicurar­e il mercato sostenendo che al momento «la situazione azionaria è stabile» e tale resterà per un po’.

Il business del risparmio gestito è un asset chiave anche per Gene- rali che di fatto opera direttamen­te nel settore attraverso Banca Generali. Il Leone tiene saldo il controllo della società anche se sul mercato non mancano voci su possibili operazioni straordina­rie che ne allarghino il perimetro diluendo la presenza della compagnia. Di certo il gruppo guidato da Philippe Donnet ha mostrato un certo interesse per il settore e a suo tempo osservò fra gli altri anche Pioneer e Fineco.

Dopo la lunga e per il momento vana corte fatta per Arca Sgr (vicenda però tutt’altro che conclusa) Anima sembra aver spostato le attenzioni su Aletti Gestielle, un obiettivo per il quale in un passato non troppo lontano l’a.d. Marco Carreri non ha nascosto l’interesse. Oltre all’intreccio azionario che fa perno attorno a Banco Bpm (principale socio di entrambe le società) l’operazione unirebbe secondo il parere degli analisti due realtà dal modello di business simile e permettere­bbe soprattutt­o alla stessa Anima di ridurre la dipendenza dalla rete di distribuzi­one di Mps, in attesa di sviluppare ulteriorme­nte la partnershi­p con Poste italiane.

Per chiudere infine il cerchio sulle quotate a piazza Affari, Azimut resta sì sempre orientata alla crescita esterna, ma punta tradiziona­lmente lo sguardo verso l’estero. Resta invece in evoluzione continua la situazione fra i soci: di recente la società ha fatto sapere che oltre 1.100 dipendenti hanno aderito al piano di acquisto di azioni annunciato un anno fa, a partire dal presidente e fondatore Pietro Giuliani che ha comprato titoli per 1,2 milioni, cioè poco meno dell’1% del capitale sociale.

TREND IN ASCESA Nel primo trimestre 2017 le società di risparmio gestito hanno raccolto circa un miliardo di euro con i Piani individual­i di risparmio

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