Cambiare il mondo a parole
Attenti a riporre i libri. Basta una piccola distrazione, e il volume s’infila nello scaffale sbagliato. In una grande biblioteca, sarà difficile ritrovarlo. Forse resterà smarrito per mesi, o addirittura per anni, fino al prossimo inventario. E se la biblioteca è vasta come uno spicchio di mondo, spezzato tra due lingue e due genti, come agguantarlo, un libro fuori posto? Prendete uno scrittore arabo e fatelo comporre, con eleganza e intensità, in ebraico. Dove li metterete, i suoi volumi? Il Grande Bibliotecario delle Contraddizioni, anche se venisse di persona, farebbe fatica a classificarle, opere così. Sayed Kashua è ben consapevole di essere fuori scaffale, e di questa sua inappartenenza ha fatto destino espressivo, stile, messaggio. I suoi lettori, che lo seguono con passione in Israele, e lo cercano in traduzione all’estero, vengono volentieri a patti con deroghe e disfunzioni espressive. Solo gettare i due nomi sulla pagina, Israele/Palestina, agita, inquieta, irrita. Figurarsi cosa capita a dire le vite degli uni con le pa- role degli altri. Traditore, provocatore, guitto, bugiardo, esibizionista - per ogni sasso gettato contro di lui, Kashua ha una breve storia da raccontare. Saranno favole, o vicende reali? Da che parte prenderle, simili confessioni d’inadeguatezza e insuccesso?
Ultimi dispacci di vita palestinese in Israele, recita, in italiano, il titolo della raccolta degli articoli di Kashua per il quotidiano ebraico «Ha’aretz». Tagliate nella stoffa del paradosso, con le forbici affilate di un sarto di destini e goffagini, queste vicende inconcluse, metà reportage e metà novelle, sono destinate a divertire e, allo stesso tempo, a renderci pensosi. Sembra sempre che il protagonista stia per conquistare rispettabilità, prestigio sociale. Beve troppo, soffoca nella cittadina araba in cui vive, ama Gerusalemme e sogna Tel Aviv, è marito distratto e padre pasticcione, sionista per provocazione, antisionista, utopista, pacifista, conservatore, eversivo. Ogni volta, a un passo dalla meta e dalla accettazione, qualcuno, qualcosa, lo fa cadere all’indietro. E con lui, con Kashua articolista di confine, anche il lettore è preso da un senso di profonda inadeguatezza. Si può cambiare il mondo a parole? Se non credete sia pensabile, non leggete questo libro. Se invece siete convinti di sì, che si possano “scriver via” pregiudizi e violenze, allora prenderete Kashua per il verso giusto. «Nelle pagine dei miei articoli - confessa l’autore - potevo scusarmi, urlare, avere paura, implorare, odiare e amare. Ma soprattutto cercare speranza, rendere la mia vita un poco più sopportabile». È davvero questa, la via, oppure la letteratura serve solo da suprema illusione? E se le parole fossero sterili, impotenti? Se un libro, fuori posto dal primo momento, fosse destinato a perdersi per sempre? Qu e l b i b l i o t e c a r i o s u p r e m o , l’unico capace, forse, di catalogare le contraddizioni, lo comincerà mai, il suo inventario?
Il volume raccoglie gli articoli dell’autore arabo, che scrive in ebraico per il quotidiano « Ha’aretz » , facendoci sorridere e pensare