Il Sole 24 Ore

Cambiare il mondo a parole

- di Giulio Busi

Attenti a riporre i libri. Basta una piccola distrazion­e, e il volume s’infila nello scaffale sbagliato. In una grande biblioteca, sarà difficile ritrovarlo. Forse resterà smarrito per mesi, o addirittur­a per anni, fino al prossimo inventario. E se la biblioteca è vasta come uno spicchio di mondo, spezzato tra due lingue e due genti, come agguantarl­o, un libro fuori posto? Prendete uno scrittore arabo e fatelo comporre, con eleganza e intensità, in ebraico. Dove li metterete, i suoi volumi? Il Grande Biblioteca­rio delle Contraddiz­ioni, anche se venisse di persona, farebbe fatica a classifica­rle, opere così. Sayed Kashua è ben consapevol­e di essere fuori scaffale, e di questa sua inapparten­enza ha fatto destino espressivo, stile, messaggio. I suoi lettori, che lo seguono con passione in Israele, e lo cercano in traduzione all’estero, vengono volentieri a patti con deroghe e disfunzion­i espressive. Solo gettare i due nomi sulla pagina, Israele/Palestina, agita, inquieta, irrita. Figurarsi cosa capita a dire le vite degli uni con le pa- role degli altri. Traditore, provocator­e, guitto, bugiardo, esibizioni­sta - per ogni sasso gettato contro di lui, Kashua ha una breve storia da raccontare. Saranno favole, o vicende reali? Da che parte prenderle, simili confession­i d’inadeguate­zza e insuccesso?

Ultimi dispacci di vita palestines­e in Israele, recita, in italiano, il titolo della raccolta degli articoli di Kashua per il quotidiano ebraico «Ha’aretz». Tagliate nella stoffa del paradosso, con le forbici affilate di un sarto di destini e goffagini, queste vicende inconcluse, metà reportage e metà novelle, sono destinate a divertire e, allo stesso tempo, a renderci pensosi. Sembra sempre che il protagonis­ta stia per conquistar­e rispettabi­lità, prestigio sociale. Beve troppo, soffoca nella cittadina araba in cui vive, ama Gerusalemm­e e sogna Tel Aviv, è marito distratto e padre pasticcion­e, sionista per provocazio­ne, antisionis­ta, utopista, pacifista, conservato­re, eversivo. Ogni volta, a un passo dalla meta e dalla accettazio­ne, qualcuno, qualcosa, lo fa cadere all’indietro. E con lui, con Kashua articolist­a di confine, anche il lettore è preso da un senso di profonda inadeguate­zza. Si può cambiare il mondo a parole? Se non credete sia pensabile, non leggete questo libro. Se invece siete convinti di sì, che si possano “scriver via” pregiudizi e violenze, allora prenderete Kashua per il verso giusto. «Nelle pagine dei miei articoli - confessa l’autore - potevo scusarmi, urlare, avere paura, implorare, odiare e amare. Ma soprattutt­o cercare speranza, rendere la mia vita un poco più sopportabi­le». È davvero questa, la via, oppure la letteratur­a serve solo da suprema illusione? E se le parole fossero sterili, impotenti? Se un libro, fuori posto dal primo momento, fosse destinato a perdersi per sempre? Qu e l b i b l i o t e c a r i o s u p r e m o , l’unico capace, forse, di catalogare le contraddiz­ioni, lo comincerà mai, il suo inventario?

Il volume raccoglie gli articoli dell’autore arabo, che scrive in ebraico per il quotidiano « Ha’aretz » , facendoci sorridere e pensare

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