I Lampi di Romain
Ricordare e leggere Romain Rolland (1866-1944) è necessario e doveroso: nonostante il Premio Nobel assegnatogli nel 1916, un romanzo in dieci volumi che ebbe all’epoca un grande successo di pubblico e di critica ( Jean-Christophe, mai tradotto in italiano), un’opera e un’attività tutte improntate «sul senso della fratellanza e sull’indipendenza da dogmatismi e ideologie», lo scrittore resta, soprattutto in Italia, decisamente poco conosciuto e tradotto. Importante dunque ascoltare la sua voce limpida e appassionata ne I tre lampi e altri racconti, a cura e traduzione di Giovanna Zavatti, la quale nell’introduzione riporta uno stralcio dell’articolo di Rolland del 1914 (scritto dalla Svizzera) intitolato Au-dessus de la mêlée che testimonia il suo impegno etico, politico, culturale e civile esplicitando le sue idee pacifiste e antimilitariste ed esortando gli intellettuali al compito che deve appartenere loro: non compromettere «l’integrità del proprio pensiero». I racconti presentati, tutti inediti in Italia (e nella stessa Francia, dopo l’edizione postuma curata dalla moglie di Rolland del 1959, il libro non è più stato ristampato), sono tratti da Le Voyage intérieur, diario-resoconto poetico redatto dall’autore in due momenti e luoghi differenti: il primo negli anni 1924-26 sul lago Lemano e il secondo nell’estate del 1940 in Francia. Zavatti ne sceglie alcuni capitoli, tra cui naturalmente «Les Trois éclairs», dove l’immagine del lampo traduce l’irruzione dell’infinito all’interno dell’io limitato e la magia dell’intuizione, che sigla la nascita dello scrittore. Nel momento del lampo-folgorazione, inoltre, egli fa esperienza della creazione universale e apre il suo moi alla «Rivelazione», ossia alla «Compassione umana», già avvertita all’età di cinque anni accanto alla sorellina Madeleine.
Corredano il volume alcune lettere tratte dal vastissimo epistolario di Rolland, in cui emerge anche la sua religiosità profondamente panteista (non a caso uno dei «tre lampi» costituisce la scoperta delle «parole di fuoco di Spinoza»). Per il messaggio che contiene e trasmette brilla la lettera a Doudchenko del 1927 su un tema caro all’autore, la vocazione, e sulla necessità assoluta che ogni individuo sia libero di seguire la propria. «Chi ha la vocazione per l’arte, per le ricerche della scienza o del pensiero, bisogna che compia la sua missione. Ed è criminale colui (genitori, insegnanti o società) che si oppone a questa missione, che cerca di scoraggiarla. Tutti i nostri sforzi devono tendere a che, in ogni società, ognuno possa seguire la via che gli è assegnata dalla natura». Bisogna che si continui a tradurre gli scritti e le lettere di questo autore che ha oggi più che mai, come si evince anche da queste righe, molte cose da dirci e da insegnarci.