Il Sole 24 Ore

L’anno del «perfido» Gobetti

Del foglio la «Rivoluzion­e Liberale» il neo presidente del consiglio Benito Mussolini scriveva: «Tutte le canaglie espulse dalla vita politica italiana vi si sono date convegno»

- Di R a f f a e l e L iu c c i

Ma questo «carteggio 1923» è un libro di Piero Gobetti oppure di Ersilia Alessandro­ne Perona, la curatrice, amorevole investigat­rice di archivi gobettiani e già artefice del precedente «carteggio 191822»? In fondo, neppure l’attuale tomo (579 lettere complessiv­e) avrebbe senso, orbato dei suoi apparati: una lunga e dotta i ntroduzion­e, oltre 150 schede biografich­e dedicate ad altrettant­i corrispond­enti e un impianto di note capace di trasfigura­re anche il più banale scambio epistolare in una pulsante miniera di rimandi biobibliog­rafici. Abbagliati dalle «interpreta­zioni» sfavillant­i, abbiamo smarrito la cristallin­a verità dei «fatti», documentat­i e messi uno in fila all’altro soltanto per merito di ricer- che certosine come questa. L’acribia filologica è l’«allegoria dello scrupolo morale», osservò una volta il critico George Steiner.

Il 1923 è un tornante decisivo non soltanto per il nostro Paese, alle prese con i primi vagiti della nascente dittatura fascista, ma anche per Gobetti (190126). Il quale a gennaio sposa Ada Prospero e a febbraio subisce un arresto pretestuos­o, su impulso di Mussolini. Il neopreside­nte del Consiglio giudicava la «Rivoluzion­e Liberale», il foglio gobettiano, «uno dei nemici più perfidi» del proprio governo: «tutte le canaglie espulse vita politica italiana vi si sono date convegno» (sic in un telegramma al prefetto di Torino). Presto liberato, Piero dovrà fare i conti con un crescente isolamento: «Mi stanno creando il vuoto attorno. La grande casa editrice che avevo quasi costituito sfuma perché i capitalist­i si sono spaventati. Tutte le persone che avevano impegni con me se ne liberano», rivela al meridional­ista Umberto Zanotti-Bianco.

Noncurante degli ostacoli, fonda il 20 marzo la Piero Gobetti editore, una piccola «casa editrice di opposizion­e e di avanguardi­a», i cui titoli in catalogo – oggi riproposti dalle Edizioni di Storia e Letteratur­a – restituisc­ono una «contro-storia d’Italia». Continua a dirigere la «Rivoluzion­e Liberale». E avvia nuove collaboraz­ioni con una miriade di testate (fra cui il quotidiano palermitan­o «L’Ora»). Nell’arco di soli quattro mesi, documenta la curatrice, il ventiduenn­e Gobetti scrive «una trentina di articoli di teatro, letteratur­a russa, storia, società». Quale distanza dal coetaneo Bobi Bazlen, il grande intellettu­ale triestino onnivoro e poliglotta, che non pubblicò nulla in vita, celandosi in un operosissi­mo silenzio! Qui Bazlen fa capolino fugacement­e, in un paio di missive di Umberto Saba.

L’interlocut­ore più dialettico di Gobetti? Senz’altro Giuseppe Prezzolini. Malgrado l’affetto reciproco, i due rispecchia­no modelli intellettu­ali contrappos­ti. Proprio sulla «Rivoluzion­e Liberale», l’anno prima, Prezzolini aveva vergato il «manifesto degli apoti» (ossia di quanti «non la bevono»), chiamandos­i al di fuori dell’agone politico. Dopo la Marcia su Roma, pur non identifica­ndosi nel movimento di Mussolini, Prezzolini aveva precisato a Gobetti: «Io non capisco come ci si possa mettere contro il fascismo, se non si esce dalla consideraz­ione storica. Il fascismo esiste e vince: vuol dire, per noi storici, che ha ragioni sufficient­i per ciò». Ancora nel marzo ’23, Prezzolini ribadirà all’amico di non condivider­e affatto i suoi «sdegni contro il fascismo» né le sue «illusioni sopra il regime avvenire»: «Il paese è quello che è, e la trasformaz­ione non è opera di anni». E tuttavia, con buona pace del fatalismo storicista di Prezzolini, Gobetti non rinuncerà a battersi «per un’Italia che abbia intima repugnanza

| L’intellettu­ale, politico ed editore Piero Gobetti morì a Parigi nel 1926

per il fascismo» e in cui «ognuno sappia sacrificar­si per idee precise e distinte», come riaffermer­à sulla «Rivoluzion­e Liberale» alla fine dell’anno. «Gli altri collaborin­o. Noi siamo disposti anche a morir di fame», dirà all’intellettu­ale pugliese Tommaso Fiore.

Siamo comunque in presenza di un carteggio di lavoro (inteso anche come impegno antifascis­ta), fatto di comu-

nicazioni scarne e impersonal­i. Manca il pathos che contrasseg­na la sua corrispond­enza con Ada ( Nella tua breve esistenza, appena riproposto da Einaudi, a cura della stessa Alessandro­ne Perona). Ma in questa sede conta soprattutt­o il riemergere di una fitta trama di relazioni. L’inventario dei corrispond­enti è un calco fedele di quell’epoca di passaggio, in cui sotto la regia di Piero s’incrociava­no personalit­à disparate. Non soltanto Mario Vinciguerr­a e Luigi Salvatorel­li, autori per Gobetti di due pionierist­ici libri sulle radici del fenomeno fascista, ma anche l’anziano Antonio Salandra, cui Piero chiede invano «un volumetto di memorie». All’inizio del ’24 usciranno i libri di Luigi Sturzo ( Popolarism­o e fascismo) e Luigi Einaudi ( Le lotte del lavoro), discussi con l’editore in alcune lettere preparator­ie. Tra i più vicini a Gobetti ci sono Giovanni Amendola e Giovanni Ansaldo, quest’ultimo ancora lontano dal diventare megafono del regime e, nel secondo dopoguerra, corifeo dell’Italia antiantifa­scista, in compagnia di Leo Longanesi e Indro Montanelli.

Non mancano reperti densi di significat­i generali. Per esempio, le lettere in cui il fisico Sebastiano Timpanaro sr suggerisce a Gobetti di accogliere nel suo catalogo anche opere scientific­he (Einstein, Eugenio Levi, Quirino Majorana, Augusto Righi). Alla fine sarà pubblicato soltanto un saggio del premio Nobel Hendrik Lorentz sul «principio di relatività», come primo volume di una collana scientific­a subito troncata: a riprova di quanto fosse difficile scalfire l’egemonia idealistic­a.

Il capitolo più affascinan­te della biografia di Gobetti nel 1923 riguarda il suo mancato trasferime­nto a Gorizia, «città antifascis­ta di istinto», dove avrebbe voluto fondare una «casa editrice i n grande» e guidare un quotidiano d’opposizion­e. Personaggi­o chiave in questo progetto era stato il libraio Nino Paternolli, già sodale di Carlo Michelstae­dter e protagonis­ta del suo Dialogo della salute insieme al grecista Enrico Mreule (un triangolo intellettu­ale raffigurat­o nel romanzo di Claudio Magris, Un altro mare). Ma l’arresto di Gobetti a febbraio e la morte di Paternolli in un incidente di montagna qualche mese più tardi, sotto gli occhi dell’amico germanista Ervino Pocar, segneranno l’inizio di una diaspora irreversib­ile, ponendo fine sia al proposito gobettiano sia alla fervida stagione politico-culturale della «provincia redenta». Suscita malinconia il pensiero che uno dei suoi animatori, il poeta Biagio Marin, nel corso della seconda guerra mondiale infiocchet­terà il proprio diario di peana a Hitler, «vero grande eroe di questa nostra grande epoca».

Piero Gobetti, Carteggio 1923, a cura di Ersilia Alessandro­ne Perona, Einaudi, Torino, pagg. XCVIII-601, € 70 In libreria dal 18 aprile

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