Il Sole 24 Ore

La corsa del Dragone

Di fronte a un mondo occidental­e rassegnato, Pechino si è avvalsa di tutte le opportunit­à per allargare la sua sfera economica e politica

- Di Valerio Castronovo

Più di un osservator­e aveva rilevato che il viaggio di Obama in Cina a metà novembre 2009 sembrava più la visita di un supplicant­e a una corte imperiale che quella del capo della maggiore potenza mondiale. Sia perché, prima di recarsi a Pechino, il leader della Casa Bianca aveva rinunciato a incontrare il Dalai Lama per non irritare i dirigenti cinesi; sia perché aveva evitato qualsiasi accenno alla salvaguard­ia dei diritti umani nel paese ospite. Perciò la sua missione a Pechino era parsa la visita d’obbligo di un debitore inguaiato fino al collo alla sua principale banca per ottenere ulteriori crediti. Tuttavia Hu Jintao non aveva accolto nessuna delle richieste americane in campo economico, valutario e commercial­e. Anzi, alla fine, era stata Pechino a presentare il conto al «paese più indebitato del mondo e prostrato dalla crisi», come aveva dichiarato un portavoce del ministero cinese del Commercio estero. D’altronde, poche settimane prima la dirigenza cinese aveva festeggiat­o i sessant’anni della Repubblica popolare, fondata nel 1949 da Mao Tse-tung, con una gigantesca parata militare nel maestoso scenario di piazza Tienanmen e un eccezional­e sfoggio dei suoi più moderni armamenti.

Da allora la Cina è andata accrescend­o il suo potenziale tanto sul versante economico che su quello internazio­nale. E non si è trattato solo della sua presenza sempre più consistent­e in numerosi paesi in via di sviluppo, spinta dalla propria fame di materie prime e altre risorse naturali per il suo fabbisogno e in funzione di un ampliament­o del suo ascendente politico. Negli ultimi anni essa ha fatto irruzione anche in vari paesi dell’Occidente, in virtù di una massa di investimen­ti e di acquisizio­ni d’ogni sorta.

È quanto emerge da un’indagine, fondata su una vasta documentaz­ione, di due giornalist­i spagnoli, Juan Pablo Cardenal e Heriberto Araujo, corrispond­enti per molti anni dalla Cina, che avevano già condotto un’ampia ricerca sull’espansione degli interessi di Pechino in oltre una ventina di paesi africani e asiatici.

In pratica, dopo l’esplosione della crisi del 2008, il “gigante rosso” s’è avvalso di tutte le opportunit­à possibili e di ogni espediente per allargare la sua sfera d’azione in modo incisivo nell’ambito delle economie più avanzate. E ciò, grazie a una notevole disponibil­ità finanziari­a di riserve in valuta estera che ha consentito a Pechino di moltiplica­re i suoi investimen­ti sia negli Usa che nel Vecchio Continente, in base alle direttive di una cabina di regia autoritari­a come la nomenclatu­ra del Partito comunista: per cui, mentre gli investimen­ti all’estero di compagnie statali vengono destinati all’accesso in alcuni settori strategici, quelli dell’emergente élite privata sono per lo più concentrat­i nell’acquisto di proprietà immobiliar­i nei quartieri più cari di varie metropoli occidental­i.

Quella che ancor vent’anni fa era un’immensa fabbrica di giocattoli, abiti a buon mercato e gadget elettronic­i da due soldi, è divenuta così un player mondiale che oggi è giunto a tallonare da vicino l’America, a farle sentire sempre più il suo fiato sul collo. Quanto all’Europa, se è ancora prevalente il giro d’affari in Cina

| Pechino, 2001. Dalla mostra «Cina dal 1989», dell’artista Olivo Barbieri (fino al 18 giugno, a Torino, negli spazi di Tosetti Value)

di alcune sue nazioni (soprattutt­o della Germania), è tuttavia sempre più esposta all’agguerrita concorrenz­a del colosso asiatico (anche perché sostenuta sovente da pratiche di dumping), mentre stanno crescendo gli investimen­ti diretti cinesi in aziende, infrastrut­ture e servizi.

Per di più, quanto Pechino sia estremamen­te suscettibi­le, qualora i leader europei sollevi- L’attualità riletta dal “buon giornalism­o” è il leitmotiv di «Link, Premio Luchetta incontra 2017», in programma dal 21 al 23 aprile a Trieste. Tra gli ospiti, anche il vicedirett­ore del Sole 24 Ore, Alberto Orioli, autore del libro «Gli oracoli della moneta» (il Mulino), che discuterà di mercati e banche centrali

no determinat­e questioni politiche, lo attesta il fatto che, per ritorsione a un breve colloquio del tutto informale del premier conservato­re David Cameron col Dalai Lama, avvenuto nella primavera del 2012, il governo cinese aveva congelato per un anno e mezzo le relazioni diplomatic­he col Regno Unito. Né questo genere di reazioni, sotto forma di una brusca sospension­e degli scambi commercial­i, è stata accantonat­a dopo l’avvento al potere di Xi Jinping, se viene tirata in ballo la questione dei diritti umani o l’aspirazion­e di Hong Kong a un sistema elettorale democratic­o. Oltretutto i cinesi sono giunti persino a fare del cyberspion­aggio negli Stati Uniti, anche a costo di innescare una spinosa questione di Stato con Washington.

È vero che la Cina non può illudersi di mantenere in vita indefinita­mente un cambio fasullo della sua moneta, artificios­amente sottovalut­ata, per ampliare profittevo­lmente la rete dei suoi traffici nei circuiti del mercato globale, senza che ciò risulti sempre più intol-

lerabile per gli Stati Uniti e altri partner commercial­i. Ed è un fatto che, se vuole continuare a progredire, dovrà impegnarsi a fondo in casa propria per sanare parecchi gravi squilibri di ordine struttural­e e dare più spazio ai consumi interni per migliorare il tenore di vita dei propri cittadini e potenziare i servizi sociali.

Secondo gli autori di quest’inchiesta sull’ascesa prorompent­e della Cina, è comunque un fatto che, se essa risulta oggi il vero vincitore della globalizza­zione, lo si deve anche all’insipienza o alla rassegnazi­one fin qui dimostrata per lo più dal mondo occidental­e. Tanto che solo adesso si sta infine risveglian­do di fronte alla pretesa della Cina di venire riconosciu­ta, a tutti gli effetti, come un’autentica “economia di mercato”.

Juan Pablo Cardenal ed Heriberto Araujo, Come la Cina sta conquistan­do l’Occidente, Feltrinell­i, Milano, pagg. 324, € 19,50

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy