Il linguaggo omofobo dei politici
infante – non soltanto a non entrare mai e poi mai nemmeno in caso di pericolo in quel luogo, ma nemmeno a passarci davanti. Interdizione data senza alcuna motivazione e da noi bambine incondizionatamente recepita, talché, volendo andare verso Sant’Ambrogio, correvamo diritte per poi girare intorno all’aiuola cintata, tenendoci il più possibile lontane da quel posto; solo molti anni dopo venni a sapere che quel bar era un centro di ritrovo “omo”. Adesso che abbiamo imparato a parlare il politicamente corretto lo chiamiamo così, ma non scrivo come era detto allora quel bar. Ovvero, nel modo in cui, allora come ora, venivano chiamate in maniera volgare, denigrato- ria e offensiva le persone con preferenze omosessuali. I miei erano dunque omofobi? Si direbbe proprio di sì, oltre che essere meridionali trapiantati a Milano, paradossalmente proveniendo proprio da quel paese pugliese di Terlizzi (Bari) che alcuni anni dopo avrebbe dato la luce a Niki Vendola, politico, poeta e scrittore e campione della libertà omo.
Non erano ancora soffiati i venti della rivoluzione e del rinnovamento anche sessuale a quei tempi, nemmeno a Milano; ma anche dopo, come aveva fatto orgogliosamente prima, il Paese Italia continuò la sua campagna retriva; quella che viene raccontata in questa brillante ricostruzione di Filippo Maria Battaglia, condotta sulla linea del suo precedente saggio Stai zitta e vai in cucina (Bollati Boringhieri 2015), dedicato in quel caso al maschilismo di politici e amministratori. Perché proprio questo è il punto, il comportamento delle classi dirigenti, politici e amministratori.
Se nel discorso comune sono infatti presenti espressioni omofobe, di denigrazione e svilimento degli omosessuali - cosa nel 2017 non più tollerabile - questo non significa che esse debbano far parte del pensiero e del lessico di politici e amministratori, anzi, è vero proprio il contrario. Politici e amministratori eletti non sono “gente comune”: sono rappresentanti del popolo che delega loro temporaneamente il suo potere e che depone provvisoriamente la sua sovranità nelle loro mani. Mani che dovrebbero essere oneste e pulite e corrispondere a menti e a bocche altrettanto pulite e corrette. Benché infatti legati alle parti dei partiti, i politici hanno da stare sopra le parti, magari proprio nelle questioni civili come questa. E in- vece è pessima consuetudine che il linguaggio dei politici ricorra non soltanto all’insulto generico contro gli omosessuali, ma usi pure l’insulto omofobo contro gli avversari di ogni tipo, su questo punto, come in molti altri, andando a braccetto con espressioni maschiliste e denigratorie delle donne, come ben ci spiega il nostro autore. Tutti i governanti e politici senza distinzione di parte? Ovviamente no, dal momento che qui è raccolto un florilegio di turpitudini, che sono quelle che danno scandalo, provenienti però da destra e da sinistra dello spettro politico (categorie interpretative della politica che alcuni si compiacciono di dichiarare decadute). E tuttavia una posizione ancora più triste dell’emettere squallidi insulti mi sembra quella dei politici che considerano le battaglie civili (e anche ecologiche) quali bagatelle senza rilievo a latere dell’unico vero problema, che sarebbe quello economico. Come dire che prima di tutto vengono il lavoro, il profitto e la crescita, e solo dopo, forse, i ricami e gli orpelli rappresentati dai diritti civili (e dai diritti della natura), che se poi sono delle minoranze sono ancor più minoritari. Posizione davanti alla quale ricorderei la raccomandazione rivolta da Amartya Sen ai Paesi emergenti: garantire insieme sviluppo e democrazia, crescita e diritti, senza mai subordinare gli uni all’altra. Il libro qui recensito, di Filippo Maria Battaglia, «Ho molti amici gay. La crociata omofoba della politica italiana (Bollati Boringhieri, Torino, pagg. 134, € 11) sarà presentato a Milano a «Tempo di Libri» il 23 aprile alle 11,30 (sala Helvetica, padiglione 2) da Paola Concia ed Eliana Di Caro