Viola elettrico e rosa Pontormo
Novità della mostra è il dialogo diretto tra le potenti opere di Bill Viola e le fonti rinascimentali che le hanno ispirate
Al piano nobile di Palazzo Strozzi, i lavori grandiosi di Bill Viola dal 1995 a oggi; nei sotterranei della Strozzina, le radici della sua avventura artistica, ormai più che quarantennale, che si dirama tra gli Stati Uniti e Firenze. Sì, perché nel 1974, appena laureato in Belle Arti all’università di Syracuse ( con numerose incursioni nelle nuove tecnologie e nella psicologia della percezione), Bill Viola si trasferì da New York a Firenze, chiamato come direttore tecnico da Maria Gloria Bicocchi ad art/tapes/22, il suo studio – uno dei primi al mondo- di produzione di video d’artista. In quella pionieristica fucina di talenti Bill Viola, 23 anni, avrebbe lavorato fino al 1976, accanto ai maestri dell’avanguardia internazionale, da Buren, Baldessari, Kaprow ai nostri “poveristi”: tutti esordienti nella videoarte, tutti passati per lo studio di via Ricasoli 22, a un passo dal Duomo.
Di qui Bill partiva per le sue esplorazioni fiorentine, che gli lasciarono tracce visive indelebili e insegnamenti mai dimenticati: scoprì che sin dal ’ 300, a Firenze, l’arte era stata “sociale”, destinata alla collettività, posta com’era nelle chiese e in luoghi pubblici, e che le opere, ideate in stretta relazione con le architetture e vissute dalla gente, erano una sorta di “installazioni”. In esse, poi, la ricchezza semantica delle storie e l’intensità delle emozioni ( il contenuto, dunque) metteva in second’ordine la forma, sulla quale invece si era fondata la sua formazione universitaria. Anni dopo, tutto ciò sarebbe riaffiorato nel suo lavoro.
La bellissima mostra che Palazzo Strozzi dedica a Bill Viola, curata dal direttore Arturo Galansino e da Kira Perov, moglie dell’artista e direttore esecutivo del Bill Viola Studio, dà conto in modo esemplare delle stratificazioni di un lavoro oggi grandioso e spettacolare ma mai “facile”, nutrito di una conoscenza profonda del pensiero orientale e occidentale, di competenze tecnologiche sempre più complesse e della lezione imprescindibile, seppure accolta in modo tutt'altro che acritico, dell'arte del passato. Un mix che, non a caso, sin dal 1997 gli ha conquistato l’ammirazione di Salvatore Settis, allora direttore del Getty Research Institute for History of Art, che lo volle in un gruppo di ricerca sulla rappresentazione delle passioni, poi matrice del suo ciclo The Passions.
Si parte dunque dal piano nobile, accolti dalla monumentale, fragorosa installazione bifronte The Crossing, 1996, poi subito ci s’imbatte nella vera novità della mostra, che per la prima volta accende un dialogo diretto tra le opere di Viola e le fonti ( documentate) che le hanno ispirate.
Fu con The Greeting, l’installazione cre- ata per il padiglione Usa alla Biennale di Venezia del 1995, che Bill Viola inaugurò il nuovo corso del suo lavoro, guidato dalle suggestioni dei maestri antichi. La fonte visiva fu la Visitazione di Pontormo, dipinto che Bill non vide nei suoi mesi fiorentini ( è fuori città, a Carmignano) ma in cui si sarebbe imbattuto anni dopo, in America, su un libro. Ricordava bene, però, l’emozione vissuta in Santa Felicita a Firenze, di fronte alla Deposizione di Pontormo, quando istintivamente ( si era negli anni’ 70) aveva pensato che « quei rosa, quegli azzurri, parevano dipinti sotto l’effetto dell’LSD » .
Dalla rilettura della Visitazione di Carmignano, Viola ha saputo creare un’ope- ra in cui il tempo lentissimo (45 secondi di girato, grazie a una tecnologia sofisticata, diventano dieci minuti di video) dilata e amplifica le emozioni e le dinamiche di relazione fra le donne, collocandole in un tempo astorico e assoluto. Ma il vis-à-vis con le fonti del suo lavoro è un filo che attraversa l’intera mostra: c’è la «video-predella» Catherine’s Room, 2001, dal ciclo The Passions, omaggio alla predella di un dipinto (esposto) del senese Andrea di Bartolo, che nei gesti quotidiani di una donna legge lo scorrere delle ore, delle stagioni, della vita; ci sono le figure nude e devastate dal tempo, proiettate su lastre di granito («tombali», am- mette lui), di un uomo e di una donna anziani che esplorano i segni del proprio decadimento, scaturite però, per opposizione, dall’Adamo ed Eva di Dürer del Prado (qui a confronto con le loro “filiazioni” di Cranach, dagli Uffizi). C’è Emergence (2002) accanto all’affresco staccato del Cristo in pietà di Masolino, di cui evoca impianto, composizione e colori, accompagnandoli con l’elemento, centrale per Viola, dell’acqua. E c’è, spettacolare e angoscioso, The Deluge (2002), posto a confronto con la lunetta spettrale del Diluvio di Paolo Uccello, dal Chiostro Verde di Santa Maria Novella. Alla Strozzina, i primi l avori (girati con apparecchi rudimentali e già bellissimi, come il famoso The Reflecting Pool, 1977-79, o il meno noto, poetico Eclipse, 1974) raccontano i suoi esordi, più che sperimentali. Ma il tema del confronto con l’antico continua anche altrove: dagli Uffizi al Museo di Santa Maria Novella, al meraviglioso Grande Museo del Duomo. Qui il video Observance (2002) evoca negli sguardi dei protagonisti lo strazio della vicina Pietà Bandini di Michelangelo, mentre la Maddalena scarnificata di Donatello era posta a colloquio con Acceptance (2008): un nudo di donna in bianco e nero, privo di ogni lusinga, che racconta della soglia tra vita e morte. Un nudo castissimo, che agli occhi di “fedeli” troppo zelanti, esposto com’era nell’auletta delle reliquie, appariva però blasfemo. Ora è stato spostato: peccato, perché quello è, davvero, il nudo di un’anima, non di un corpo.
Bill Viola. Rinascimento elettronico, Firenze, Palazzo Strozzi e altre sedi, fino al 23 luglio. Catalogo Giunti
Caravaggio, «I Musici», 1595 circa,
The Metropolitan
Museum
non è avvenuto, per cui non sappiamo bene l’esatto messaggio che il soggetto intende fornirci. La ricerca continua.
I prestiti incrociati del Martirio di Sant’Orsola di Napoli al Met e dei Musici di New York all’Italia rientrano in una strategia di valorizzazione della collezione artistica di Intesa Sanpaolo e in una politica di collaborazioni e sinergie con le più importanti istituzioni culturali internazionali. Queste rientrano tra le azioni di Progetto Cultura, piano triennale degli interventi culturali della Banca, assieme allo sviluppo del polo museale delle Gallerie d’Italia a Milano, Napoli e Vicenza, e a Restituzioni, collaudato programma di restauri dei beni artistici e architettonici del Paese.
Tra l’altro, l’esposizione al Metropolitan del quadro di Intesa Sanpaolo offre l’importante occasione per il pubblico americano di vedere affiancato per la prima volta il Martirio di Sant’Orsola a un altro dipinto di Caravaggio presente nel museo americano, ovvero la Negazione di San Pietro, la cui datazione tarda è stata ricavata direttamente dal confronto stilistico con l’opera di Intesa Sanpaolo. Entrambi i dipinti sono eseguiti in un modo rapido, essenziale e con una forte drammatizzazione psicologica dei personaggi.
« Sono molto emozionato e orgoglioso di aver portato al Metropolitan Museum di New York il Martirio di Sant’Orsola, un’opera che sicuramente rappresenta una delle punte di diamante delle collezioni d’arte di Intesa Sanpaolo » ha affermato al momento dell’inaugurazione Gian Maria Gros-Pietro, presidente del Consiglio di amministrazione di Intesa Sanpaolo. « Il gruppo è da sempre convinto che le attività culturali rappresentino un veicolo efficace di collaborazione tra i popoli. E questo a maggior ragione in un mondo globalizzato, dove la piena consapevolezza della propria identità consente di rispondere agli stimoli provenienti da diverse direzioni. Inoltre, penso alle nuove generazioni, rivisitare il passato può essere un aiuto non solo per far luce sul presente, ma anche per immaginare il futuro. Il nostro Paese, poi, è uno dei luoghi più attraenti al mondo proprio per la ricchezza e la varietà del suo patrimonio culturale. Saper dare una risposta coordinata a questa richiesta avrebbe una ricaduta significativa sulla nostra economia » .
E Keith Christiansen, curatore d’arte europea del Metropolitan Museum di New York ha altresì dichiarato: «Sono lietissimo che Intesa Sanpaolo e il Metropolitan Museum of Art di New York abbiano potuto collaborare per questo scambio di grande risonanza. Presentare oggi a New York, l’uno accanto all’altro, il Martirio di Sant’Orsola di Intesa Sanpaolo e la Negazione di San Pietro del Metropolitan, costituisce una vera opportunità, dato che sono due quadri quasi certamente dipinti negli ultimi due o tre mesi di vita dell’artista, utilizzando uno stile quanto mai scarno, dove le figure emergono dallo sfondo nero quasi come spettri di un mondo oppresso dal peccato e dal dolore».
– Marco Carminati