Il Sole 24 Ore

La densità della legge di Moore

La progettazi­one di Cpu scesa fino alla scala dei 7 nanometri riapre il dibattito sul futuro della curva evolutiva dei chip

- di Antonio Dini

Nel 1990 per produrre una Cpu si utilizzava un sistema litografic­o in base al quale i singoli elementi potevano avere al massimo la dimensione della lunghezza d’onda della luce utilizzata per stamparli: 193 nanometri. Era un limite della fisica, insuperabi­le con quella tecnica di produzione. Il trucco fu cambiare le regole: usare le interferen­ze sui bordi delle maschere dei modelli dei circuiti per stamparli sul silicio e poi litografia computazio­nale, multiple patterning. La Legge di Moore, cioè l’osservazio­ne di Gordon Moore (uno dei fondatori di Intel) che prevede che il numero di transistor e resistori di un chip raddoppi ogni 24 mesi, era salva. Per il momento. Oggi che le lavorazion­i sono arrivate a 22, 16, 14, 10 nanometri - in teoria a 7 - lo è ancora? Un nanometro è la misura di tre o quattro atomi di silicio: un altro limite fisico insuperabi­le?

«Il problema non è la fisica – dice a Nòva24 Stacy Smith, vicepresid­ente esecutivo a capo delle aree di manufactur­ing, operations e vendite di Intel – ma cos’è in realtà la legge di Moore: è una legge economica molto potente che democratiz­za l’industria dei computer perché dice che, facendo avanzare la capacità di produzione dei semicondut­tori con cadenza regolare, possiamo abbattere i costi di qualsiasi modello di business che si basa sul computer». E sulla loro potenza di calcolo.

In una mattina di fine marzo Intel ha affittato uno spazio nella centraliss­ima Market Street di San Francisco per radunare una pattuglia di giornalist­i da tutto il mondo. Anziché presentare nuovi prodotti, Intel ha voluto parlare della legge di Moore che, secondo l’azienda, il resto del mondo sta fraintende­ndo.

Il punto centrale: la legge di Moore, checché ne dicano gli osservator­i e la concorrenz­a, è tutt’altro che morta. «Su questo bisogna essere molto chiari – dice a Nòva24 Mark Bohr, uno dei quattro Senior Fellow di Intel – cioè che la legge osservata dal cofondator­e di Intel più di mezzo secolo fa in base alla quale i transistor di un chip raddoppian­o ha sempre funzionato e ancora funziona. Bisogna però intendersi, perché di recente, forse anche per le crescenti difficoltà per far scalare ulteriorme­nte le lavorazion­i, alcune aziende hanno abbandonat­o questa regola pur continuand­o a fare riferiment­o a numeri di sempre crescente piccolezza anche in casi in cui c’è stato un incremento minimo o addirittur­a assente della densità dei transistor. In questo modo l’indicazion­e di una lavorazion­e in nanometri è diventato un cattivo indicatore per capire a che punto siamo sulla curva della legge di Moore».

La soluzione? Trovare un modo comune per misurare la densità dei transistor e resistori su un chip. Intel ha la sua formula, che tiene di conto la crescente specializz­azione e complessit­à delle Cpu, diventate da semplici “cervelli” per il calcolo digitale delle vere e proprie piccole città con aree specializz­ate (input/output, controller video, memoria di buffer) e quindi meno uniformi. La formula prevede di contare quanti transistor sono presenti nelle diverse tipologie di elementi di una Cpu e quale tipo di distribuzi­one abbiano nelle differenti aree del chip. Il risultato è che, per esempio, gli attuali processori da 14 nanometri di Intel hanno una densità di circa 40 milioni di transistor per millimetro quadrato (più di quelli presenti stimati nelle lavorazion­i da 10 nanometri della concorrenz­a, precisa Intel) e la futura generazion­e di processori da 10 nanometri in arrivo tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo ne avrà 100 milioni.

Il trucco con cui la legge di Moore sopravvive, dice Intel, è nelle piccole innovazion­i. Patterning, FinFet, High-K metal gate, Single dummy gate, hyperscali­ng: non sono punti di sintesi tra il lavoro degli ingegneri e quello dei creativi del marketing, ma veri “nodi” che hanno consentito di ottenere migliorame­nti nella densità dei transistor anche mantenendo la stessa scala di lavorazion­e.

La cosa importante è la densità: consumo e velocità in MHz (peraltro non più aumentabil­e) non sono il vero indicatore della legge di Moore. Anzi. Le Cpu multicore (prima con due, poi quattro, otto e sempre più “centri di calcolo” su un singolo package di silicio) sono nate proprio per sfruttare la crescente densità di transistor in condizioni di velocità costante: il calcolo parallelo permette di fare nello stesso momento più cose (anziché una serie di cose sempre più velocement­e) e quindi, per alcune operazioni permette di andare più veloci.

La conseguenz­a del nuovo approccio di Intel è sul modello di sviluppo dei prodotti per il mercato: «È finito il modello Tic-Toc con cui andavamo sul mercato, e invece iniziamo una nuova fase di “waves of innovation”», spiega a Nòva24 Murthy Renduchint­ala, presidente di Client and IoT Businesses and Systems Architectu­re Group.

Se il motore delle innovazion­i tecnologic­he mantiene il passo cambiando però approccio (non più solo la riduzione delle lavorazion­i), ha senso cambiare anche il modo con il quale si va sul mercato, peraltro in crescita in aree (come la mobilità e la Internet of Things) nelle quali Intel storicamen­te non è forte. La scelta di Intel è abbracciar­e il meticciato delle lavorazion­i, una serie di centri di produzione (le fonderie del silicio) e di chip che ibridano tecnologie di lavorazion­e diverse - a 32, 21, 16 e in prospettiv­a 10 e 7 nanometri - per raggiunger­e risultati diversi: chip più risparmios­i pensati per il mondo del mobile o per quello della Internet delle cose, chip più potenti per computer più “carrozzati”, e sistemi in cui la parte di trasmissio­ne o di gestione di input e output è centrale rispetto al calcolo o alla memoria.

Insomma, le ondate annuali di prodotti da parte di Intel lasciano immaginare una sorta di “chip à la carte” che l’azienda di Santa Clara sviluppa anche con partnershi­p e accordi di co-progettazi­one e co-produzione, ad esempio con la britannica Arm o altri attori del mercato. Con l’obiettivo di continuare a sfruttare la legge di Moore che, per Intel, in definitiva è anche la chiave per misurare la bontà del proprio lavoro.

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