Silicio con il software nel cuore
L’integrazione verticale è la via scelta da chi punta su processori on demand
Con un annuncio «di cortesia», Apple ha tolto il 70% del valore in Borsa a uno dei suoi fornitori storici. È Imagination Technologies, azienda britannica che produce Gpu, coprocessori grafici per telefoni cellulari e tablet. Apple rappresenta più della metà del suo fatturato perché ha acquistato, dalla creazione del primo iPhone nel 2007 fino a oggi, i chip di Imagination. Tra due anni non sarà più così. Al colosso di Cupertino - che sta considerando un investimento di diversi miliardi di dollari nell’unità di semiconduttori di Toshiba - conviene fare in casa anche la Gpu, dopo che ha iniziato a progettare le sue Cpu basate sullo schema realizzato da Arm e personalizzate per i bisogni degli iPhone e iPad. I processori di Apple sono dei System on a Chip, perché ad esempio l’ultima generazione contiene in 125 millimetri quadrati 3,3 miliardi di transistor inclusa la parte grafica e 4 Gb di Ram, con lavorazioni a 14 nanometri. Sono realizzati da terzisti come Tsmc o, in passato, Samsung.
Il vantaggio competitivo di integrare verticalmente il proprio hardware con il design del silicio è, dal punto di vista dell’azienda californiana, enorme. La rende padrona del suo destino: Apple per avere questa libertà ha acquistato aziende-boutique nella progettazione dei processori e ha iniziato a commercializzare suoi prodotti con i propri SoC dal 2010, con il lancio di iPad, iPhone 4, la seconda generazione di Apple Tv e iPod Touch 4. Per questo quelli di Cupertino, prima del divorzio, avevano cercato di aquistare Imagination, il cui management invece ha scelto di non vendere.
Il vantaggio risiede nel fatto che la differenza tra silicio (la parte hardware del calcolo) e software (sia app che dati) è solo una illusione: quel che va nel software può andare nel silicio e viceversa. La diffusione di microarchitetture standard è dovuta a questioni di scala e di quote di mercato, ma dal punto di vista funzionale avere Cpu custom può consentire di fare meglio e di più, se ci si può permettere il costo della realizzazione e dell’integrazione.
Per questo la stessa strada di Apple viene seguita da molti altri nel settore dell’hardware embedded su larga scala: ci sono chip su misura nel router o negli apparati industriali, nel settore automotive e sempre più nella Internet of Things. Non sono però processori co- struiti completamente da zero. Seguono linee guida certe, tipicamente le tecnologie della britannica Arm (da poco acquistata dal gruppo giapponese SoftBank). È il “dividendo di pace” dell’industria della telefonia mobile, che con lo smartphone ha utilizzato un approccio differente da quello dei produttori dei Pc. Componenti più modulari e sistemi aperti. In questa corsa le tecnologie di Arm hanno vinto perché aperte e concesse in licenza a terzi.
Tuttavia sia Amd che la stessa Intel hanno aperto alla collaborazione con alcuni dei propri clienti con l’obiettivo di costruire processori custom a richiesta, anche se nell’ambito del cloud. Intel lo fa su richiesta di Amazon (per il cloud di AWS) e Amd invece opera per Facebook. Si tratta di varianti e personalizzazioni di design già consolidati (dagli Opteron di Amd agli Xeon della generazione Haswell di Intel). Siamo però lontani dalla customizzazione di massa, perché realizzare chip in bassissimi volumi (addirittura pezzi unici) non avrebbe né senso dal punto di vista degli impianti produttivi né da quello dei requisiti tecnici di programmazione. Niente processori unici, ma sicuramente tante varianti su misura, tagliate dai sarti del silicio.