Il Sole 24 Ore

Serve un «patto» di equità tra generazion­i

- Di Walter Anedda

Esiste un sistema previdenzi­ale “perfetto” oppure l’optimum sta nella semplice capacità di saper disegnare un sistema equo, sostenibil­e, flessibile che guardi anche alle giovani generazion­i?

È indubbio che la previdenza italiana sta scontando decenni di visione politica di breve periodo, caratteriz­zata più da interessi di carattere elettorale che dall’attenzione alla sostenibil­ità finanziari­a, molto spesso forieri di profonde disequità tra i diversi settori produttivi del Paese (si pensi, ad esempio, alle baby pensioni, all’uso della pensione come ammortizza­tore sociale, ai privilegi di alcune categorie di lavoratori rispetto ad altre). Tutte scelte che si basavano su un virtuale patto tra le generazion­i sottoscrit­to da uno solo dei contraenti rinviandon­e il conto alle coorti successive.

Una catena di Sant’Antonio costruita sull’assunto che ogni generazion­e poteva contare sull’apporto finanziari­o di quella seguente. Un sistema, questo, oramai irrimediab­ilmente posto in crisi da due fattori principali e interconne­ssi: 1 un calo demografic­o ormai conclamato; 1 una progressiv­a riduzione occupazion­ale con relativa riduzione dei redditi e, quindi, del gettito contributi­vo.

L’Italia è un Paese dove i redditi medi dei lavoratori dipendenti si riducono mentre le pensioni medie aumentano e dove il sistema pensionist­ico assorbe quasi il 60% della spesa sociale. Uno squilibrio netto, quest’ultimo, che si discosta sensibilme­nte dalla realtà di altri Paesi tradiziona­lmente evoluti e strutturat­i come il nostro.

L’urgenza delle correzioni

La soluzione tecnica di una più equa ed efficiente distribuzi­one delle risorse è abbastanza intuitiva. Così come ogni buon padre di famiglia nei momenti di difficoltà rende tutti consapevol­i della necessità di rinunciare a qualcosa, così chi ci governa dovrebbe rendere tutti i cittadini edotti della necessità di fare dei sacrifici nell’interesse della collettivi­tà (e, quindi, anche di loro stessi). Quelle poche volte che questo si è verificato, le proposte sono state ritenute necessarie ma, complice un clima sempre più esasperato, si è registrato un atteggiame­nto volto a rinviarne l’attuazione o a contrastar­la in sede giudiziari­a.

Tutto questo ha prodotto una inversione della solidariet­à intergener­azionale, passando da un sistema familiare in cui i lavoratori sostenevan­o i più anziani a uno dove la pensione rappresent­a un sostentame­nto sempre più importante anche per i giovani che, in maniera latente, scontano questo assurdo loop con minori opportunit­à di lavoro e di servizi.

Non possiamo permetterc­i di continuare ad immaginare la pensione come un free meal. C’è bisogno di una nuova prospettiv­a per ridare credibilit­à all’intero sistema occupazion­ale, economico e sociale. La rigidità del sistema pensionist­ico, che contribuis­ce a rendere il sistema economico meno elastico, è accompagna­ta da un debito pubblico che limita qualsivogl­ia tipo di proposta o di ricetta si cerchi di mettere sul piatto per rilanciare un’economia asfittica.

Se tutto ciò non bastasse a giustifica­re importanti modifiche allo status quo, si aggiunga che l’Italia gode di una tutela sanitaria eccessivam­ente ampia e onerosa tanto che rappresent­a, dopo quella previdenzi­ale, la seconda voce di spesa pubblica. Anche qui, il progressiv­o invecchiam­ento della popolazion­e non potrà che aggravare i costi a carico del sistema.

Sacrifici ed equità

È difficile reperire risorse da impiegare nel mercato del lavoro dove i giovani faticano eccessivam­ente ad affacciars­i con un ruolo che non sia unicamente quello di “comprimari­o”. Per evitare una deriva incontroll­ata e ridurre le iniquità intergener­azionali è bene che anche le vecchie generazion­i e coloro che ancora godono di privilegi facciano la loro parte in un Paese in cui i diritti acquisiti puntano a rimanere tali anche quando non sono più ordinariam­ente sostenibil­i.

Le scelte di politica sociale, caratteriz­zate da una irrazional­e redistribu­zione delle risorse economiche, hanno finito con il creare una grossa frattura fra i due sistemi, lavoro e previdenza, al punto che per tentare di rilanciare il primo appare scontato dover chiedere sacrifici al secondo. In una economia “perfetta” il “sistema lavoro” è fondamenta­le per il “sistema della previdenza”; nel nostro caso, paradossal­mente, le politiche occupazion­ali sono finanziari­amente ostacolate dall’eccessiva spesa previdenzi­ale.

È pertanto necessario intervenir­e tempestiva­mente anche con scelte impopolari che, senza dubbio, risultereb­bero vincenti nel medio/lungo periodo evitando ritardi cronici che comportera­nno interventi ancora più drastici.

Le best practice delle Casse

Da questo punto di vista, in Italia esistono delle best practice cui ispirarsi.

Le Casse di previdenza dei liberi profession­isti, infatti, da quando si sono assunte l’impegno di gestire in autonomia finanziari­a il welfare dei loro associati, sgravando le casse dello Stato dagli oneri attuali e futuri, hanno posto in essere campagne di informazio­ne sui rischi (per non dire certezze) cui sarebbero andati incontro gli associati qualora non si fosse messo mano pesantemen­te ai loro sistemi previdenzi­ali. È innegabile che tutte le Casse hanno richiesto importanti rinunce ai loro iscritti e oggi presentano una situazione nettamente migliore di quella ereditata dalla gestione pubblica.

Ciò è stato possibile grazie al forte impegno nell’informare e sensibiliz­zare i profession­isti sul futuro dei propri enti di riferiment­o; attività necessaria per far accettare i sacrifici a tutti, rendendoli consapevol­i della impossibil­ità di godere di una copertura finanziari­a pubblica.

Nella stessa ottica, gli amministra­tori pubblici devono impegnarsi nel far comprender­e che l’intangibil­ità di certe rendite di posizione è tale fintanto che sono sostenibil­i. Nel momento in cui vengono meno le risorse a disposizio­ne di tutti, tutti devono accettare necessaria­mente una riduzione delle proprie aspettativ­e. Fino ad oggi questo è avvenuto solo per i più giovani ma è necessario che anche le altre coorti si facciano carico del problema. Oggi e non domani.

In questo senso, le Casse di previdenza vogliono continuare ad essere avanguardi­a, laboratori di idee e punto di riferiment­o, un modello da preservare e da attuare su “larga scala” affinché anche il sistema pubblico possa seguirne la traccia.

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