Il Sole 24 Ore

Un Patto con i giovani per recuperare il lavoro

Fra le priorità, un salto di qualità sui meccanismi di «matching»

- di Massimo Cioffi, Daniele Ferrero e Roberto Lancellott­i

Il dibattito «Tra scuola e lavoro», ospitato dal Sole 24 Ore negli ultimi giorni, tocca uno dei temi chiave per il futuro del Paese.

La crisi ha raddoppiat­o i numeri nell’ultimo decennio e li ha resi drammatici, soprattutt­o al Sud: più di un quarto dei 10 milioni di giovani tra i 15 e i 30 anni sono disoccupat­i o inattivi e tanti altri sono occupati ad altra precarietà. Tenuto conto dei genitori e dei nonni, più di 1 adulto su 5 ha “il problema in casa”: non sorprende che nei sondaggi il tema sia costanteme­nte tra le principali cause di sfiducia sul futuro, con tutte le implicazio­ni sociali, economiche e politiche del caso. Ma il problema va oltre la crisi: il sistema Italia non è capace di creare opportunit­à per i giovani. Infatti abbiamo uno “spread” con l’Europa di natura struttural­e: è lo spread della disoccupaz­ione giovanile (fino a 30 anni) rispetto a quella adulta (oltre i 35 anni). Per l’Italia tale rapporto è di 3,5:1. Quasi tutta Europa gira appena sopra 2:1, la Germania a poco più di 1:1. E non dipende solo dalla crisi (questo spread non è cambiato molto da 25 anni) e non è un problema solo del Sud (ci sono province del Nord con spread 5:1, ad esempio Cuneo).

Gli articoli di Carlo Carboni sul Sole dell’11 aprile e di Federico Butera e Andrea Illy sul Sole del 13 aprile hanno ben descritto le cause di tale situazione e la loro natura struttural­e, che vanno ben oltre il ciclo economico ma includono sbilanciam­ento tra domanda delle imprese e scelte formative dei giovani, carenza di competenze adeguate ai bisogni del sistema economico, inadeguate­zza dei canali di «matching». Hanno spronato la politica a prendere iniziative concrete, costruendo su quello che hanno fatto i governi Renzi e Gentiloni. E hanno anche formulato proposte di intervento, assolutame­nte condivisib­ili, incentrate sulla «terra di mezzo» del passaggio scuola-lavoro e sulla necessità di maggiore coordiname­nto tra tutti gli attori coinvolti (la «situation room»).

La vera sfida è come inserire tali soluzioni in un programma organico che consenta di affrontare le numeriche del problema: come detto 2,5 milioni di giovani sotto i 30 anni disoccupat­i o Neet, alimentati da più di 400mila giovani in uscita ogni anno dal sistema scolastico che meritano ben altre opportunit­à. In aggiunta a interventi congiuntur­ali e nell’ambito di un più complessiv­o intervento su crescita e occupazion­e di cui beneficere­mmo tutti (e quindi anche i giovani soprattutt­o al Sud), andrebbe avviato un programma specifico, un vero e proprio «Patto per i giovani» con iniziative a livello nazionale e sul territorio, articolato su quattro direttrici di intervento: e Aumentare le opportunit­à di lavoro specifiche per i giovani. Lavorare sul lato della domanda è un necessario punto di partenza. Con una dote di decontribu­zione significat­iva per tutti i giovani e non solo per i Neet, ad esempio, contributi zero per tre anni dopo diploma/ laurea. Con veri meccanismi di staffetta generazion­ale: agevolazio­ni per le aziende che fanno lasciare il lavoro a di- pendenti prossimi alla pensione e ne assumono di giovani (ad esempio, evoluzione del meccanismo Ape/art. 4 legge Fornero) e incentivi anche ai dipendenti che lasciano se si impegnano a mettersi a disposizio­ne di iniziative sociali/ pubbliche (ad esempio, tutor sul passaggio scuola-lavoro). Abbattendo le barriere burocratic­he che sono un vero freno per le piccole imprese (ad esempio, le pratiche relative alla sicurezza per l’alternanza, la contrattua­listica). r Rafforzare la capacità del sistema formativo di generare capitale umano con le competenze e la mentalità giusta per il mondo del lavoro. Allineando l’offerta formativa all’evoluzione della domanda di lavoro, con una prospettiv­a su cosà servirà (la scuola ha un ciclo lungo) e a quali aspetti dare enfasi ( un esempio per tutti: l’Italia è un caso abbastanza unico dove utilizziam­o l’espression­e “inglese scolastico” in senso negativo). Coinvolgen­do attivament­e il mondo del lavoro nella definizion­e delle priorità formative (quanti Cts sono davvero incisivi?). Incentivan­do la formazione tecnica (programma “turbo” per gli Its) e rivedendo le politiche dei numeri chiusi in aree prioritari­e dove mancano risorse (ad esempio, medicosani­tario). Introducen­do modalità complement­ari alla didattica classica per la creazione di soft skills (ad esempio, attraverso tutoring/mentoring, simulazion­i di auto-imprendito­rialità, teamwork e lavori a progetto) e per l’estensione di competenze i n aree chiave (ad esempio, digitale). Enfatizzan­do l’occupabili­tà e lo sviluppo di processi di orientamen­to e “placement” nei sistemi di valutazion­e e premialità di scuole e università. t Fare un salto di qualità sui meccani-

smi di «matching». Un sistema moderno di incrocio tra mondo scuola e mondo lavoro è necessaria­mente multi-canale (pubblico + privato, digitale + fisico). Questa è l’area su cui abbiamo bisogno di un vero salto di qualità. Canalizzan­do risorse: ancor più degli incentivi al lavoro o agli investimen­ti in formazione, questa è la dimensione do- ve si misura in Europa una correlazio­ne più forte tra risorse allocate e tassi di disoccupaz­ione giovanile ed è la dimensione dove il nostro gap è maggiore. Sfruttando la propension­e digitale dei giovani: mettiamo una App sul telefonino di tutti i 18enni, con Faq, statistich­e, contatti, opportunit­à e community tematiche tra i ragazzi. Definendo incentivi per le imprese sopra una certa dimensione per offrire vere opportunit­à di alternanza ai giovani, andando oltre la sola logica dello “stage estivo”. E superando l’attuale frammentaz­ione di soggetti pubblici sul territorio che dovrebbero occuparsi di questi temi (uffici scolastici, centri per l’impiego, camere di commercio). u Aiutare i giovani e le famiglie a fare scelte adeguate per il futuro e diffondere nel Paese una cultura “studio (anche per) un lavoro”. Di fianco ad attitudini e sogni vanno messi i fatti, incrociand­o i dati di Miur, Inps, e gli scenari prospettic­i Isfol per dare indicazion­i su esiti dei percorsi scolastici e profilo di studi tipico per ogni lavoro, da diffondere in logica open data. E includendo indicazion­i di “occupabili­tà” dei corsi di studio nelle iniziative di orientamen­to scolastico che vanno diffuse in modo sistematic­o (quali indirizzi hanno tassi di occupazion­e e retribuzio­ni migliori? Cosa fa chi studia questa cosa? Cosa hanno studiato quelli che fanno questo lavoro?).

La struttura del sistema economico italiano (elevata differenzi­azione delle vocazioni dei territori e stragrande maggioranz­a delle imprese con meno di 10 dipendenti) richiede una declinazio­ne territoria­le del programma perché abbia successo. Servono più di 100 iniziative (una per provincia/distretto industrial­e) che fungano da “integrator­e di sistema” del programma nazionale sul territorio. Che identifich­ino le migliori iniziative che già affrontano il tema passaggio scuola-lavoro da angoli specifici (su orientamen­to, alternanza, matching domanda-offerta, etc) e con matrici varie (start-up, terzo settore, associazio­ni di categoria, aziende, qualche istituzion­e pubblica “illuminata”), valorizzan­do le cose che funzionano e superando i limiti struttural­i dovuti all’assenza di un approccio complessiv­o su tutte le leve di intervento in ciascun territorio e alla scarsa scalabilit­à/replicabil­ità delle soluzioni. Che sperimenti­no un nuovo modello di collaboraz­ione tra pubblico, privato e terzo settore.

È un’agenda ampia che richiede di superare gli steccati storici di competenze tra mondo scuola e mondo lavoro. Che deve diventare centrale per le agende di Miur, ministero del Lavoro e Anpal. Per cui servono buone leggi ma anche e soprattutt­o tanta capacità di esecuzione. Che avrà impatto a scala solo se declinata a livello “micro” sul territorio. Che l’esito del referendum rende più difficile ma non impossibil­e, facendo leva anche sulle energie positive del terzo settore. Lo dobbiamo ai nostri giovani e al futuro del Paese.

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