Il Sole 24 Ore

Pubblicità forense senza nomi di clienti

La Cassazione conferma la sanzione del Cnf ai legali che avevano reso pubblico online l’elenco La difesa in giudizio non è riconducib­ile solo a logiche di mercato

- Giovanni Negri

pLegittima la sanzione dell’avvertimen­to per gli avvocati che pubblicano sul sito internet del loro studio il nominativo dei clienti, dopo avere ottenuto il loro consenso. Secondo i legali l’elenco era lecito per effetto dell’allargamen­to delle maglie sulla pubblicità dei profession­isti dopo il decreto Bersani. La Cassazione ricorda però, sentenza n. 9861 delle Sezioni unite civili depositata ieri, la peculiarit­à della profession­e e il dovere di riservatez­za anche per “proteggere” l’attività processual­e.

La difesa aveva fatto valere l’effetto di abrogazion­e, per effetto delle norme del 2006, su tutti i precedenti divieti di pubblicità, ritenendo che fossero venuti meno anche i paletti che impedivano di rendere noti i nominativi dei clienti, sia quelli assistiti in maniera continuati­va sia quelli assistiti per progetti specifici. Di tutt’altro parere invece era stato il Cnf, per il quale il divieto previsto nella vecchia, e anche nella successiva, versione del codice deontologi­co doveva essere ritenuta ancora pienamente operativa.

La Cassazione osserva che l’elevato valore pubblicist­ico dell’attività forense «spiega perchè il rapporto tra il profession­ista e il cliente (attuale o potenziale) rimanga in buona parte scarsament­e influenza- bile dalla volontà e dalle consideraz­ioni personali (o dalle valutazion­i economiche) degli stessi protagonis­ti e come possa pertanto non risultare dirimente, nel senso di escludere il relativo divieto, il consenso prestato dai clienti del medesimo avvocato alla diffusione dei propri nominativi a fini pubblicita­ri » .

Quello tra cliente e avvocato, prosegue la sentenza, non può allora essere solo ricondotto a una logica di mercato, tanto che la legge non considera da sole decisive le manifestaz­ioni di volontà di entrambi nemmeno per quanto riguarda l’inzio e la fine dello stesso rapporto. Nel processo penale, pertanto, è imposto all’imputato, che ne sia sprovvisto, un avvocato d’ufficio, il quale, a sua volta, ha l’obbligo di accettare l’incarico. E ancora, nel processo civile, nè la revoca nè la rinuncia privano di per sè il difensore della capacità di compiere o ricevere atti.

È proprio lo stretto collegamen­to tra attività libero profession­ale ed esercizio della giurisdizi­one che, per la Cassazione sta alla base della necessità di adottare la massima cautela sul tema pubblicità.

A non volere tenere conto poi, avverte ancora la pronuncia, che la pubblicità dei nominativi dei clienti degli avvocati (oltretutto in abbinata con le informazio­ni sulle diverse ferme di specializz­azione profession­ale e le caratteris­tiche del servizio offerto dal legale) potrebbe alla fine riguardare anche l’attività processual­e svolta a loro difesa. Con un potenziale i mpatto quindi su processi in corso che ne potrebbero uscire i n qualche modo influenzat­i.

LE INDICAZION­I Non determinan­te il consenso degli interessat­i L’attività legale ha elevato valore pubblicist­ico

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