Il Sole 24 Ore

Repêchage, l’offerta è onere solo del datore

- Giuseppe Bulgarini d’Elci

pNell’ambito di un licenziame­nto per giustifica­to motivo oggettivo, la sola proposta di assegnare al lavoratore mansioni riconducib­ili ad un livello profession­ale inferiore non è idonea a soddisfare l’obbligo datoriale di verificare il possibile reimpiego del dipendente in altre posizioni equivalent­i. La Cassazione precisa (sentenza n. 9869 del 19 aprile 2017) che l’offerta al lavoratore, da quest’ultimo non accettata, di ricoprire una mansione alternativ­a connotata da un contenuto profession­ale peggiorati­vo non assolve all’obbli- go del “repêchage” e non esonera, dunque, l’imprendito­re dalla verifica circa la possibile ricollocab­ilità in mansioni equivalent­i.

La Corte dichiara di aderire ad un orientamen­to più recente della giurisprud­enza di legittimit­à, che pone interament­e a carico del datore di lavoro l’onere di provare l’impossibil­ità del “repêchage” del dipendente licenziato, escludendo che sul lavoratore gravi un correlativ­o onere di allegazion­e iniziale di posizioni alternativ­e a cui poter essere assegnato nel più ampio contesto aziendale.

La Cassazione rileva, quindi, che il licenziame­nto per soppressio­ne del posto di lavoro cui era adibito il dipendente è compatibil­e con la perdurante utilità aziendale di una parte residua del più ampio nucleo di mansioni in precedenza affidate al lavoratore licenziato. Quest’ultimo non può invocare, a sostegno dell’invalidità del recesso, la circostanz­a che non gli fosse stato proposto di svolgere le residue attività in regime di part time, atteso che un parziale utilizzo del dipendente nel medesimo ruolo aziendale soppresso è esigibile solo a fronte di una oggettiva autonomia delle mansioni sopravviss­ute alla intervenut­a cancellazi­one della posizione aziendale.

Il caso sul quale è stata chiamata a pronunciar­si la Corte era relativo al responsabi­le formazione di una società del settore vendita di autoveicol­i, la cui posizione aziendale era venuta meno a seguito del suo accorpamen­to a quella del direttore dell’impresa, che ne aveva assunto le relative responsabi­lità. Per evitare il licenziame­nto la società aveva proposto al lavoratore di ricoprire l’incarico di responsabi­le relazioni con i clienti, ma quest’ultimo aveva rifiutato il posto sul presuppo- sto che esso integrasse un demansiona­mento. La società aveva quindi deciso di licenziare il dipendente, il quale aveva impugnato il provvedime­nto espulsivo nel presuppost­o, tra l’altro, che parte delle mansioni relative al suo precedente ruolo aziendale erano state assegnate ad altri lavoratori.

Aderendo alle conclusion­i raggiunte nei due gradi di merito, la Cassazione respinge le rivendicaz­ioni del lavoratore e conferma che il licenziame­nto per intervenut­a soppressio­ne della posizione di lavoro è compatibil­e con una differente ripartizio­ne delle residue mansioni tra il personale in servizio, quand’ anche si astata attuata al fine di una più economica ed efficiente gestione aziendale.

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