Figli dei fiori in viaggio
Punto di raccolta un locale di Istanbul. Da lì partivano con jeep, furgoncini e bus colorati in direzione dell’India
Mezzo secolo fa a San Francisco il movimento hippy raggiunge l’apice della sua parabola e della sua visibilità con la Summer of Love: centomila giovani arrivati in California da tutto il mondo per una lunga estate di culture alternative, amore libero, droghe e soprattutto tanta, tantissima musica. Nell’universo hippy le canzoni sono molto più di una colonna sonora, scandiscono e raccontano ogni esperienza. In quell’estate 1967 i Beatles propongono un album memorabile, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, ma il tormentone alla radio è di un giovane sconosciuto, Scott McKenzie: Non andare a San Francisco senza fiori nei capelli…
Per la prima volta i giovani si impongono all’attenzione pubblica come un gruppo sociale ben definito, con propri ideali, bisogni, stili di vita. Pochi anni prima Bob Dylan aveva invitato gli adulti a farsi da parte: «Non criticate ciò che non capite, i vostri figli e figlie non sono ai vostri ordini» ( The Times They Are a-Changin’). Ma a togliersi di torno sono anche parecchi giovani. Il Sessantotto è ormai alle porte dall’altra parte dell’oceano, ma gli hippy non hanno programmi politici, non contestano apertamente il sistema: vogliono cambiare sé stessi, non il mondo. E per poterlo fare, cercano di sottrarsi al controllo della famiglia, della scuola e della società. Niente di meglio allora del viaggio di lungo corso verso il magico Oriente, in cerca di divertimento, avventura, forse un’illuminazione. Kerouac insegna: da qualche parte, lungo il percorso, è nascosta una perla.
In quegli anni migliaia di giovani viaggiatori percorrono la «rotta hippy »( Hippie Trail): seimila miglia, sei Paesi e tre grandi religioni. La maggior parte di loro naturalmente viene dal mondo anglosassone. Si viaggia via terra, lentamente; nell’era del jet set i costi del viag-
gio aereo sono proibitivi. Il punto di raccolta è un locale di Istanbul, il Pudding Shop, a poca distanza dalla Moschea blu: qui una grande bacheca consente di condividere informazioni, trovare mezzi di trasporto e compagni di viaggio. Davanti alla vetrina del Pudding Shop sono parcheggiati i veicoli più improbabili, palesemente inadeguati all’impresa che li attende: jeep della seconda guerra mondiale, furgoni postali in disuso, autobus a due piani coi colori dell’arcobaleno e naturalmente i celebri Volkswagen Combo. Alcuni bus partono regolarmente da Londra o Amsterdam, strada facendo sostano davanti agli ostelli della gioventù e caricano viaggiatori entusiasti che soltanto pochi minuti prima non pensavano di partire: Anyone for India?.
E poi la strada, ricalcata per molti tratti sull’antica Via della seta. Turchia e Iran sono attraversati di fretta, solo in Afghanistan il viaggio da bianco e nero diventa a colori. Amare Kabul? Dopo decenni di guerre d’inaudita ferocia si stenta a credere sia mai esistito un tempo quando la voce dei viaggiatori celebrava la severa bellezza del Paese e soprattutto l’ospitalità dei suoi abitanti. Dall’ Afghani-
stan, attraverso il Khyber Pass, si raggiungono il Pakistan e poi Madre India, la terra dei saggi: qui molti intraprendono cammini di perfezionamento spirituale alla scuola dei Sadhu, i poveri santoni di strada. Un rivolo di viaggiatori, che giunge sino ai giorni nostri, si perde sulle spiagge di Goa, tra interminabili feste alla luce della luna piena e musica psichedelica. Di solito tuttavia il punto d’arrivo è il romantico e medievale Nepal, a K-k-k-k-kk-athmandu (come cantava Bob Seger), nei negozi di hashish in Freak Street.
Nel viaggio hippy il rapporto con i compagni d’avventura era un aspetto fondamentale dell’esperienza. Ma c’era anche desiderio d’incontri, apertura agli altri. I rapporti con i locali furono dapprima buoni. Gli hippy dopo tutto erano evidentemente inoffensivi: perennemente senza denaro, trascorrevano molto tempo sulla strada, insieme ai poveri. Non avevano difficoltà a confondersi con artigiani e contadini, anche negli abiti, poiché avevano un’istintiva curiosità per i travestimenti; negli anni a venire l’industria della moda, a corto di idee, attingerà a piene mani a questa loro eredità.
Di certo questi viaggiatori erano diversi da chi li aveva preceduti, erano i primi occidentali senza propositi di conquista o conversione. Non volevano colonizzare, quanto piuttosto essere colonizzati. Erano curiosi e disponibili al cambiamento, alla contaminazione con altre religioni e filosofie. Forse anche per questo diversi giovani nei Paesi attraversati, per esempio in Turchia, si accostarono al mondo hippy. Col tempo però prevalsero diffidenza e incomprensioni. In Asia le persone più moderne guardavano con ammirazione al modello occidentale e alla sua promessa di porre fine alla secolare miseria; chi restava nel solco della tradizione era invece respinto dai costumi sessuali disinvolti e dall’uso delle droghe abituale nella comunità hippy.
La « rotta hippy » si chiuse nel 1979, con la rivoluzione di Khomeini in Iran e l’invasione sovietica in Afghanistan. A decenni di distanza, l’Afghanistan resta il buco nero della politica internazionale, insieme alla Siria. È davvero esistito un tempo quando una ragazza bionda poteva attraversarlo in autostop? Gli hippy sono stati spesso derisi, accusati di essere degli idealisti velleitari, degli ingenui sognatori; lo erano senza dubbio, ma certo il realismo di chi li ha seguiti non ha saputo far molto meglio...
Nei decenni seguenti gli hippy saranno ricordati soprattutto per gli aspetti più superficiali ed esteriori – i simboli di pace, i fiori, i lunghi capelli – ma nel campo dei viaggi la loro eredità è stata molto più profonda e sostanziale. Per cominciare quella fascinazione per l’oriente, che gli hippy avvertirono con tanta forza, riemerge periodicamente nei momenti di crisi. Inoltre da quella stagione vengono molte delle guide turistiche più popolari ( Routard, Lonely Planet) e qualcosa del loro spirito si avverte senza dubbio anche nei giovani viaggiatori zaino in spalla ( backpacker).
Ma forse il lascito più importante del viaggio hippy, per quanto involontario, fu aver aperto la via al turismo internazionale. Sino a quel momento infatti i Paesi della «rotta hippy » erano conosciuti quasi soltanto da missionari, soldati o commercianti; per tutti gli altri erano poco più di un servizio fotografico su National Geographic. Gli hippy erano sempre in cerca di luoghi nascosti, ma dietro a loro l’industria turistica fu pronta ad attrezzare e proporre al grande pubblico questi angoli di paradiso. Come ha scritto Alex Garland in The Beach, il racconto dell’impossibile ricerca di una spiaggia segreta sconosciuta al turismo di massa: «Non c’è modo di restare fuori dalla Lonely Planet e, una volta che ci sei, è cominciato il conto alla rovescia per il Giorno del giudizio».