Le nuove sfide di Jab dopo Jimmy Choo
La holding che fa capo alla famiglia tedesca Reimann punta al largo consumo
pQuante (troppe) volte abbiamo sentito dire che all’Italia manca un polo del lusso e che su questo terreno stravincono i francesi, grazie a Lvmh e Kering, che hanno chiuso il 2016 con ricavi, rispettivamente, a 37,6 e 12,3 miliardi, grazie a portafogli di settanta marchi per il primo e venti per il secondo.
Nel nostro Paese l’unico vero tentativo di creare un gruppo del lusso fu quello di Patrizio Bertelli: partendo da Prada e Miu Miu, a cavallo degli anni 90 e duemila, egli costruì una galassia di cui a un certo punto facevano parte Jil Sander ed Helmut Lang (poi rivenduti) e puntò anche alla scalata di Gucci. Oggi il portafoglio comprende Car Shoe e Church’s, ma l’ultima acquisizione di rilievo è quella della pasticceria Marchesi: poco a che fare con la moda.
La decisione annunciata lunedì da Jab (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) di vendere la sua quota di maggioranza (67,7%) di Jimmy Choo, tra i più famosi brand di scarpe di lusso al mondo, spinge ad alcune riflessioni. Anche perché Jab ha aggiunto di voler uscire pure da Bally (abbigliamento e accessori di alta gamma) e da Belstaff, storico marchio di casualwear di lusso acquisito nel 2010 dalla famiglia Malenotti – si disse per 110 milioni – tramite il fondo Labelux, poi confluito, nel 2014, in Jab. Di altri marchi comprati negli anni scorsi (Derek Lam, Zagliani e Solange Azagury-Partridge per i gioielli), Jab si è già disfatta. La holding, che fa capo alla famiglia tedesca Reimann, tra le più ricche di Germania, controlla però saldamente il colosso della cosmetica Coty (che nel solo 2016 ha comprato 41 marchi di beauty da Procter&Gamble) e Reckitt Beckinser, attiva nel largo consumo con brand come Vanish, Scholl, Nurofen e in procinto di completare l’acquisizone del marchio americano di latte in polvere Mead Jonhson. Poi c’è il caffè: Jab possiede la catena di caffetterie svedesi Espresso House, la danese Baresso, Jacobs Douwe Egberts e Keurig Green Mountain, molto forti negli Stati Uniti, e ha offerto 7,5 miliardi di dollari per comprare la catena americana Panera Bread, ricordava oggi un lungo articolo del quotidiano Wwd.
«Così tante scarpe e solo due piedi», diceva Sarah Jessica Parker alias Carrie Bradshaw nella serie tv Sex and the City, parlando di Jimmy Choo e Manolo Blahnik. «Così tante scarpe e solo il 2% di crescita», potrebbero dire oggi i vertici di Jab: nel 2014 i ricaviJimmy Choo erano saliti del 12%. Nel 2016 di dieci punti in meno e l’utile è calato del 20% a 15,4 milioni di sterline. Decisamente meglio il business del caffè, con ricavi e utili in crescita a doppia cifra, e dei profumi: il 2 maggio Coty annuncerà i risultati del primo trimestre fiscale e gli analisti stimano un raddoppio del fatturato da 950 milioni dello stesso periodo dell’esercizio precedente a circa 2 miliardi di dollari.
Anche in Italia c’è chi ha dovuto rivedere le aspettative sul lusso: parliamo di Silvio Scaglia e della sua holding lussemburghese Sms Finance. Nel 2015, si legge nei documenti depositati nel Granducato e consultati da RadiocorPlus, Pacific Capital, la controllata che si occupa degli investimenti finanziari, ha avuto una performance positiva mentre la Pacific Global Management (Pgm), filiale che opera nel fashion e possiede il marchio di lingerie di lusso La Perla e l’agenzia di modelle Elite, ha segnato una perdita consolidata di 39,8 milioni. Acquistare un marchio del lusso non è difficile (la crisi iniziata nel 2008 ha fatto le sue vittime anche nell’alto di gamma, specie tra le Pmi). Rilanciarlo è un’altra storia. Ci vogliono, in grande quantità, investimenti, tempo e pazienza. Come ha dimostrato negli anni Lvmh, che ha però spalle larghissime. Come quelle di Jab, si potrebbe dire: ma al gigante tedesco, secondo analisti e operatori, manca un’autentica passione per l’alto di gamma e la necessaria visione di medio-lungo periodo.
Gli investitori di altri settori guardano al Roic e agli indici di redditività dei grandi player del lusso e pensano che siano alla loro portata, grazie a un dispendioso cherry picking, ha detto a Wwd Luca Solca di Exane. «Salvo accorgersi che c’è una ragione se quei grandi player hanno lasciato alcune “ciliegie”, solo apparentemente appetibili, ad altri».
TROPPA FRETTA Acquistare un brand di alta gamma è relativamente facile Rilanciarlo, senza la necessaria visione di lungo periodo, è un’altra storia