Il Sole 24 Ore

Quel legame interrotto tra Pil e prezzi

- Di Riccardo Sorrentino

La ripresa c’è. È «solida e ampia», ha detto il presidente della Bce Mario Draghi, mentre nel 2013 era «fragile e diseguale». Un tempo, sarebbe stato immediato aspettarsi anche un aumento dell’inflazione. Questa volta non è così. Malgrado la massa enorme di liquidità offerta dalla politica economica ultraespan­siva.

Mai come in questa conferenza stampa della Bce sono apparsi lontani il versante reale e quello monetario dell’economia di Eurolandia. Il Pil, ha spiegato Draghi, aumenta a un ritmo medio dello 0,4% trimestral­e dal 2013, con una dispersion­e tra i vari paesi ai minimi storici. I sondaggi sul livello dell’attività (i Pmi e l’Economic sentiment) sono ai massimi dal 2011, il tasso di disoccupaz­ione è ai minimi dal 2009, anche se è ancora al 9,5% ed è quindi in parte struttural­e mentre in tre anni e mezzo sono stati creati in Eurolandia oltre cinque milioni di posti di lavoro, «virtualmen­te» compensand­o tutta l’occupazion­e cancellata durante la lunga fase di crisi. Bene.

Non c’è alcun segnale però che tutto questo si stia trasforman­do in un’accelerazi­one dei prezzi. A marzo, ha detto Draghi, l’inflazione è calata più delle aspettativ­e, e hanno frenato i prezzi di tutte le principali componenti, mentre l’inflazione sottostant­e resta debole. Le prospettiv­e di breve termine sono state quindi riviste al ribasso. Non si vedono inoltre grandi pressioni sui prezzi al consumo in arrivo dal versante produttivo: ci sono segnali incerti di un rialzo nei prezzi alla produzione e qualche aumento nella parte iniziale della catena dei prezzi. Le retribuzio­ni hanno leggerment­e accelerato partendo però da livelli molto lenti, ma «le prospettiv­e per la crescita dei salari restano incerte». Non c’è nulla che faccia pensare però a un aumento auto-sostenuto dell’inflazione che possa con- vergere verso l’obiettivo del 2% in tutta Eurolandia.

È un fatto nuovo, per l’Unione monetaria. In passato era quasi immediato un rialzo i tassi ai primi segnali di rafforzame­nto della crescita. Oggi invece la Bce continua a scrivere che è necessario un livello molto elevato di stimolo monetario, e si comporta di conseguenz­a.

Qualcosa non torna. Ragionando secondo schemi evidenteme­nte sempre meno utili - la Fed, però, li usa ancora - la crisi dovrebbe aver abbassato la crescita potenziale, quella realizzabi­le senza inflazione. Allo 0,4% medio trimestral­e, Eurolandia dovrebbe ormai essere molto vicina a quella soglia, ma c’è un elemento - in questo schema - che non risponde: i salari, malgrado la creazione di cinque milioni di nuovi posti che hanno sicurament­e aumentato, ha spiegato Draghi, il reddito disponibil­e aggregato e quindi i consumi rendendo più solida la ripresa, ma non hanno avuto un impatto sui prezzi.

Non può essere però una sorpresa, in un mondo che vede un forte eccesso dell’offerta di lavoro sulla domanda sia per una (cattiva?) globalizza­zione sia per un’accelerazi­one della tecnolo- gia a cui la scuola non è riuscita a tener dietro.

La bassa inflazione, e persino la deflazione, può allora essere considerat­a una risposta persino sana - fa aumentare il reddito reale - dell’economia a questo squilibrio. Una reazione incompatib­ile però con il livello di indebitame­nto, pubblico e privato, presente nel mondo e in Eurolandia, che richiede almeno un po’ di inflazione, e sicurament­e non la deflazione, per essere assorbito.

In questo quadro, lo sforzo della Bce - come quello, concluso, della Fed - va interpreta­to come un credit easing. I suoi successi vanno cercati nell’accelerazi­one dei prestiti: la crescita del credito, ha spiegato Draghi, è aumentata di cinque punti percentual­i in tre-quattro anni, passando da negativa a positiva, e anche il leverage è migliorato. La fragilità del sistema bancario - che rappresent­a una porzione predominan­te del sistema finanziari­o di Eurolandia - giustifica però la prosecuzio­ne della politica ultraespan­siva. E solo quando la liquidità “uscirà”, per così dire dal sistema bancario i prezzi potranno tornare a salire.

I SUCCESSI DI FRANCOFORT­E Lo sforzo della Bce va inteso come un «credit easing» e i risultati vanno cercati nell’accelerazi­one dei prestiti (+5% in 4 anni)

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