Il Sole 24 Ore

Contratto di investimen­to, dubbi sulle firme

- P.Mac.

pSaranno le Sezioni unite della Cassazione a stabilire se il contratto di investimen­to stipulato con la banca deve essere firmato, per la sua validità, oltre che dal cliente anche dall’intermedia­rio finanziari­o. La Prima sezione civile della Corte, (con l’ordinanza interlocut­oria 10447) pone il problema della corretta interpreta­zione dell’articolo 23 del Testo unico bancario (Dlgs 58/1998).

La norma prevede per i contratti di prestazion­e di servizi di investimen­to, la redazione scritta con la consegna di un esemplare al cliente. Nel caso di inosservan­za della forma prescritta, il contratto è nullo: una nullità che può essere fatta valere solo dal cliente. I Regolament­i Consob e la giurisprud­enza hanno chiarito la necessità della forma scritta per il contratto-quadro, con consegna di una copia al cliente che deve sottoscriv­ere a pena di nullità. I dubbi riguardano la necessità della sigla o meno del delegato della banca.

I giudici analizzano rapidament­e i nuovi fenomeni contrattua­li, in funzione dello sviluppo dei mercati. Il passaggio da un’economia rurale a una digitale sembra produrre un ritorno al formalismo negoziale che, per i suoi costi transattiv­i si giustifica - avvertono i giudici - solo quando il contratto è asimmetric­o e c’è una reale esigenza di proteggere la parte debole dai rischi del negozio. Ad esempio la forma scritta non è prevista per il contratto di mera consulenza finanziari­a, né è considerat­a rilevante dall’ordinament­o europeo per i contratti bancari e finanziari, la cui trasparenz­a può essere assicurata anche con altri strumenti.

I giudici remittenti sottolinea­no la tesi secondo la quale la sottoscriz­ione della banca, come for- ma obbligator­ia ( ad substantia­m) non garantireb­be il fine a cui è tesa la norma, anzi si porrebbe in contrasto con il dinamismo nella conclusion­e dei contratti finanziari, e dunque con l’efficienza dei mercati a cui anche le nullità di protezione mirano.

Né l’assenza di sottoscriz­ione può legittimar­e l’intermedia­rio a sottrarsi alle regole del negozio, perché la nullità di protezione può essere fatta valere solo dal cliente.

Il consenso originario della banca è poi dimostrato da una serie atti: dalla predisposi­zione del contratto alla consegna e alla sua esecuzione.

La firma del funzionari­o, pur non preclusa, non inciderebb­e sull’efficacia del negozio. A tutela, ci sono anche gli obblighi di chiarezza e trasparenz­a nella predisposi­zione del contratto.

Secondo i giudici, l’irrilevanz­a della firma sarebbe anche a garanzia di eventuali “abusi” da parte del cliente, che potrebbe usare il formalismo in modo strumental­e, facendo valere la nullità del contratto magari per una perdita marginale, anche se il rapporto con l’intermedia­rio è andato avanti per molti anni con reciproca soddisfazi­one.

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