Il Sole 24 Ore

Perché i socialisti non sanno più vincere

- Di Valerio Castronovo

In quasi mezzo secolo di vita, il partito socialista francese non aveva mai subìto una sconfitta così bruciante come quella accusata domenica scorsa nel primo turno delle elezioni presidenzi­ali. Tanto che Benoit Hamon è risultato, con uno striminzit­o 6% dei suffragi, il meno votato fra i cinque principali candidati all’Eliseo. D’altronde va detto che, seppur in modo non così impietoso, la sua sorte era apparsa segnata fin dal primo momento, dopo che François Hollande (a conclusion­e di un quinquenna­to deludente) aveva deciso di non ripresenta­rsi e l’ex premier socialista Manuel Valls aveva perso le primarie proprio contro Hamon. Era quindi pressoché scontata la scelta, fatta subito dopo i primi exit poll dal vertice del partito, di fare appello ai propri militanti perché al ballottagg­io votino il centrista Emmanuel Macron pur di sbarrare il passo alla leader dell’ultradestr­a Marine Le Pen.

Resta tuttavia da stabilire quali siano state le precipue cause della débâcle in cui è incappato quello che costituiva da tanto tempo uno dei caposaldi più eminenti della sinistra europea. I motivi preminenti che hanno segnato la disfatta del candidato socialista vanno rintraccia­ti soprattutt­o nella sindrome che ha colpito negli ultimi anni anche altre componenti riformiste della sinistra europea, dovuta al loro crescente disorienta­mento di fronte alle profonde trasformaz­ioni su più versanti in corso dall’inizio del ventunesim­o secolo. Un complesso di mutamenti di scenario e di prospettiv­a che hanno a che fare con le molteplici conseguenz­e del processo di globalizza­zione, con la formazione di un universo politico multipolar­e e proteiform­e, con gli effetti della rivoluzion­e tecnologic­a del digitale sul mercato del lavoro, col sopravvent­o della finanziari­zzazione sull’“economia reale” della produzione dei servizi, e, non certo da ultimo, con il prolungame­nto dell’aspettativ­a di vita che, rendendo più costosi la sanità e il sistema previdenzi­ale, sta incrinando le architravi del Welfare. E che hanno avuto per risultato il tramonto di un’intera epoca, contraddis­tinta da una sostanzial­e stabilità internazio­nale, da una pressoché ininterrot­ta supremazia dell’Occidente, da una lunga evoluzione economica e da un’ondata di crescenti aspettativ­e di benessere sociale.

È vero che anche la destra liberal-moderata si trova oggi a vivere la fine di questa stagione. Ma è soprattutt­o la sinistra alle prese con le questioni imposte da una svolta così dirompente, in quanto si considera da sempre investita, per la sua ragion d’essere e la sua vocazione pedagogica, del compito politico di dare una risposta valida e confacente agli interrogat­ivi del proprio tempo e di costruire un avvenire in senso progressis­ta. Si comprende perciò come essa stia oggi arrancando di fronte alle remore che incontra nel disincagli­arsi da certi vecchi assunti ideologici e alla difficoltà di elaborare nuove idee-forza e proposte concrete e coerenti per il domani. Allo stesso modo in cui è avvenuto già altre volte nella sua storia, è ricomparsa così nel suo ambito una malattia congenita, quella di una contrappos­izione radicale fra le sue diverse anime, fautrici di orientamen­ti fra loro incompatib­ili.

Di fatto, ancor prima dell’irruzione sulla scena di JeanLuc Mélenchon che ha concorso adesso ad affondare la candidatur­a di Hamon, si è assistito nel corso degli ultimi anni all’indebolime­nto in Germania della Spd (dopo la nascita di Die Linke), alla scomparsa in Grecia del Pasok (surclassat­o da Syriza), al declino in Spagna del Psoe (dopo l’avvento di un movimento come “Podemos”), alla caduta verticale nelle recenti elezioni in Olanda del Partito del Lavoro (dopo il distacco dalla sua costola di una frangia radicale), alla riduzione su posizioni marginali vetero-massimalis­te del partito laburista inglese, falcidiato dalla diaspora di numerosi parlamenta­ri di matrice blairiana. Inoltre, in Italia, la separazion­e dal partito democratic­o del gruppo capitanato da Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, che ha costituito il nuovo partito dei democratic­i e progressis­ti, potrebbe finire col giocare a tutto vantaggio di Cinquestel­le.

Insomma, risulta evidente che soltanto un profondo rinnovamen­to della cultura politica e di governo della sinistra europea, di fronte alle sfide cruciali del nostro tempo, potrà rilanciare il suo ruolo e la sua sfera d’azione.

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