Parigi e Berlino già a difesa delle imprese
«P rima di discutere di futuro, dobbiamo uscire dal passato»: con questa frase laconica Donald Tusk, il presidente del Consiglio europeo, ha voluto liquidare da un lato le pretese irrealistiche degli inglesi e mantenere dall'altro l’unità dei 27 alla vigilia dei difficilissimi negoziati su Brexit.
Al vertice dei capi di Stato e di Governo, riunito ieri a Bruxelles senza Theresa May, c’erano da decidere le linee guida di quei negoziati. Miracolo, sono state approvate all’unanimità in un minuto subito dopo pranzo.
Niente cospirazioni, ha detto la tedesca Angela Merkel al termine della riunione, ma nemmeno illusioni: «A volte sembra che alcuni in Gran Bretagna non abbiano capito che c’è una distinzione tra chi sta dentro e chi sta fuori dall’Unione». Il francese François Hollande, ormai in uscita, ha rincarato: «Ci saranno per forza un prezzo e un costo da pagare per il Regno Unito. È chiaro che l’Europa difenderà i suoi interessi e che l’Inghilterra domani avrà in Europa una posizione meno buona di quella di oggi».
Dall’aperturismo morbido iniziale, soprattutto tedesco, dieci mesi dopo il voto dello storico strappo l’Europa è passata all’approccio negoziale duro, convinta di avere il coltello dalla parte del manico. Trattativa in due fasi. La prima dovrà garantire la stabile e reciproca salvaguardia legale dei diritti dei cittadini coinvolti, 4,5 milioni tra europei e inglesi, risolvere la partita finanziaria che esige il rispetto da parte di Londra degli impegni assunti sui fronti dei bilanci pluriennale Ue, Bei, Edf e Bce, una fattura intorno ai 60 miliardi. E infine assicurare la stabilità delle nuove frontiere Ue.
Solo se entro l’autunno saranno stati fatti sufficienti progressi, si potrà passare alla fase 2, che gli inglesi vorrebbero invece contestuale alla prima per accelerare al massimo un accordo commerciale di libero scambio con l’Ue, impresa che richiederà, si dice, dai 2 ai 5 anni.
L’Europa fissa i paletti e fa la voce grossa ma sa di muoversi su un terreno molto scivoloso, in casa propria prima che a Londra. Davvero terrà fino alla fine unità e compattezza che i 27 hanno mostrato ieri a Bruxelles?
Sotto la superficie lucente della rapidissima intesa sulle linee guida negoziali si sentono già i primi scricchiolii. Olanda, Paesi scandinavi, Spagna, in nome dei rispettivi interessi economici, premono per chiudere al più presto il confronto, facendo convergere le due fasi. Francia e Germania invece in sordina sollecitano da tempo le proprie imprese a ridurre l’export sul mercato britannico per mettersi al riparo dai rischi di un eventuale divorzio non consensuale.
La partita in corso in realtà trascende ampiamente l’orizzonte dei puri interessi economico- finanziaricommerciali. Rappresenta infatti un test fondamentale e decisivo per il futuro stesso dell’Europa: sarà cioè la prova provata della possibilità o impossibilità oggi di far convergere tra loro l’interesse nazionale, europeo e globale.
Con la scelta di Brexit, la Gran Bretagna risponde di no, che si può navigare meglio da soli in mare aperto nonostante 60 milioni di cittadini, pochi in confronto agli oltre 500 dell’Unione e ai 7 miliardi del mondo, che l’interesse nazionale prevale sugli altri due e si difende meglio in autonomia, libertà e indipendenza.
L’Europa afferma il contrario e vive della convinzione opposta: l’interesse nazionale oggi non può che essere anche europeo e globale. Senza una fusione ben calibrata della triade, da soli non c’è futuro certo ma perdente. Per questo sul divorzio inglese l’Europa si gioca tutto, la sua stessa ragion d’essere nel 21mo secolo. Di più.
Nonostante l’ultimo sondaggio Eurobarometro segnali la rimonta, sui livelli pre-crisi 2007, del sentimento pro-Europa nell’Unione, gli inglesi non sono soli in Europa a pensare che sovranità nazionale è meglio: a Est come in Francia, Austria, Olanda, Finlandia, la tentazione della scorciatoia è forte e diffusa. Anche per questo l’Europa non può permettersi di fare troppe concessioni a Londra, pena il rischio di una lenta autodistruzione pervia popolardemocratica.
Finito il vertice, Angela Merkel ha ricordato che «ci sono anche altri problemi oltre a Brexit, il mondo va avanti e l’Europa deve impegnarsi a ricostruire il proprio futuro». Vero, assolutamente ineccepibile il cancelliere tedesco. Peccato però che, piaccia o no, il futuro dell’Europa passa da Brexit e deve superare indenne lo scoglio che ha davanti per garantirselo: senza perdere altri pezzi per strada e passare a sua volta alla fase due della propria esistenza.