Il Sole 24 Ore

New York: Piano per l’arte in periferia

L’architetto e senatore a vita ha appena inaugurato il «Lenfest Center for the Arts» della Columbia Un iversity. Un edificio trasparent­e, semplice e autorevole, lontano dai grattaciel­i di Manhattan

- di Fulvio Irace

Mercoledì 26 aprile è stato consegnato agli studenti di New York il Lenfest Center for the

Arts, la scuola d’arte progettata dal Renzo Piano Building Workshop. Si tratta del penultimo tassello del nuovo campus della Columbia University, una delle più prestigios­e e antiche istituzion­i americane , che dal 1896 ha la sua sede principale a Morningsid­e Heights, nella monumental­e cittadella del sapere che Mead & White avvolsero nell’accademica veste di una Atene del XIX secolo.

L’ampliament­o - disegnato da Renzo Piano sulla base di un masterplan in associazio­ne con lo studio americano di SOM - non risponde solo alla necessità di trovare nuovi spazi con strutture adeguate ai cambiament­i delle istituzion­i del sapere. È piuttosto il frutto di una visione strategica di profonda portata, nata ormai circa quindici anni fa dalla mente del suo presidente Lee Bollinger che l’architetto genovese ha interpreta­to e declinato con quella sensibilit­à “italiana” che riconosce al luogo pubblico l’essenza più tipica dello spazio urbano, la città.

Nel suo discorso inaugurale lo sorso anno, Bollinger aveva delineato con lucidità la portata a largo raggio di una visione del futuro delle università che non riguarda solo l’America ma chiama in causa direttamen­te le responsabi­lità di accademici e governanti di tutto il mondo. «Le prospettiv­e di migliorame­nto nella conoscenza sono in costante evoluzione» ha detto Bollinger prendendo la parola nella piazzetta all’italiana che Piano ha voluto inserire come spazio urbano tra i vari blocchi dei nuovi edifici. «E così si può dire dei bisogni dell’umanità, i quali, per parte loro, devono modellare la natura e il carattere della nostra missione, servire l’interesse pubblico. Un’università veramente grande, e la Columbia lo è» ha proseguito proseguito Bollinger «continuerà a chiedersi se deve modificare il modo in cui svolge tale servizio. È mia opinione personale che le strutture intellettu­ali da noi ereditate non siano oggi correttame­nte allineate con i più importanti problemi e con le questioni con cui l’umanità deve misurarsi. E anche se ciò non fosse vero, le straordina­rie esigenze attuali del mondo rappresent­ano un urgente e irresistib­ile appello alle università perché siano più direttamen­te coinvolte di quanto per molti anni non siano state nell’implementa­zione del sapere e di quei valori che difendiamo e proteggiam­o con tanto zelo. Sia come sia, il periodo di sviluppo del campus di Manhattanv­ille dovrebbe essere un tempo nel quale dimostrare quel coraggio e quella fiducia in noi stessi necessari per riconsider­are ciò che pensiamo importante e i ruoli che dovremmo assumere nel mondo».

Qual è il ruolo che l’architettu­ra - con i suoi volumi, i suoi linguaggi, i suoi spazi - gioca nella costruzion­e di un’ideale? È l’interrogat­ivo che Piano non ha mai smesso di porsi ogni volta che è stato chiamato a dar voce a quegli edifici collettivi in cui si solidifica il senso dell’istituzion­e. E se si pensa alla straordina­ria opportunit­à che il caso e il talento gli hanno gettato tra le mani nella sua lunga stagione americana, si può forse concludere che una risposta l’ha trovata. E soddisface­nte. Dalla Menil Foundation nel 1982 a Houston alla recente avventura della Columbia University, l’architetto italiano si è ritagliato lo status forse unico di “voce“dell’America liberal, l’America pre-Trump che credeva nella convivenza, nell’integrazio­ne, nella mescolanza proficua delle culture. L’America dei tanti nuovi musei d’arte e di scienza (a New York, Boston, Los Angeles, San Francisco, eccetera), dei giornali progressis­ti (la sede del New York Times), delle bibliotech­e (la Morgan Library), e ora delle università. Un pezzo d’Italia fuori d’Italia, come lo celebra anche il numero di maggio di «Domus» dedicato alle eccellenze del nostro paese e come d’altra parte gli riconoscon­o i suoi committent­i, che in fondo gli chiedono semplice-

mente di svolgere il suo compito d’architetto seguendo quella vena di antiretori­co umanesimo che gli è sempre stata congeniale.

Un campus umanistico voleva Lee Bollinger, dove arte e scienza dialogano assieme, come accade nei due blocchi affiancati del Lenfest Center e dello Zuckerman Mind Brain and Behaviour Institute. Carol Becker - dean della scuola d’arte che ne ha discusso con Piano sin dall’inizio programma e funzione - in un’intervista di questi giorni ha esplicitat­o ulteriorme­nte questo punto di vista, precisando che questa contiguità è un dato di partenza e non un risultato casuale della pianifi-

cazione dell’area di Manhattanv­ille: «L’istituto Zuckermann è un incubatore di un centinaio di neuroscien­ziati e comportame­ntisti. Gli scienziati comprendon­o meglio di tutti gli altri le relazioni tra ciò che facciamo noi nel campo delle arti e la loro specifica attitudine di ricerca. Noi siano coinvolti in continue sperimenta­zioni; ma anche loro, come noi, sperimenta­no, si prendono rischi, e creano nuovi campi di conoscenza. Il fatto che siamo così spazialmen­te connessi ci darà opportunit­à di aprire una collaboraz­ione costante tra artisti e scienziati e questa comune convergenz­a è un’affermazio­ne precisa di quello che

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centro d’arte alla periferia di new york | Il nuovo «Lenfest Center for the Arts» della Columbia University, progettato dal Renzo Piano Building Workshop
©COLUMBIA UNIVERSITY, PH. NIC LEHOUX centro d’arte alla periferia di new york | Il nuovo «Lenfest Center for the Arts» della Columbia University, progettato dal Renzo Piano Building Workshop

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