Il Sole 24 Ore

C’È DEL CLASSICO NELLE RIVOLUZION­I MODERNE

L’ eliocentri­smo, l’immensità del cosmo e la gravitazio­ne universale: sono idee di cui troviamo traccia nel pensiero ellenistic­o

- lucio russo

Secondo la vulgata usualmente accettata, gli antichi greci avrebbero creduto in un cosmo finito e sferico, centrato in una Terra immobile e limitato da una sfera cristallin­a ruotante, nella quale le stelle fisse sarebbero state incastonat­e come gemme in un gioiello. Tra gli eventi che hanno caratteriz­zato il sorgere della modernità si è sempre dato gran peso ad alcune rivoluzion­i culturali che riguardano direttamen­te l’astronomia. La prima e la più famosa è la « rivoluzion­e copernican­a», che ha spodestato la Terra dal suo ruolo centrale a favore del Sole. La seconda ha abolito la sfera cristallin­a delle stelle fisse, sostituend­o al cosmo finito e sferico un universo immenso, in cui il Sole non era più che una delle innumerevo­li stelle, tutte mobili. La terza è dovuta a Newton che, grazie al concetto di gravitazio­ne universale, ha spiegato il perché delle caratteris­tiche dei moti della Terra e dei pianeti. Tutte e tre le rivoluzion­i sarebbero state realizzate dagli scienziati moderni combattend­o una dura lotta per scalzare le idee degli “antichi”.

Quale fu realmente l’origine delle tre rivoluzion­i concettual­i da cui è nata l’astronomia moderna? Nel caso della «rivoluzion­e copernican­a» per appurarlo basta dare la parola allo stesso Copernico, che nell’epistola dedicatori­a del De revolution­ibus orbium coelestium scrive che, avendo trovato che diversi antichi astronomi avevano attribuito moti alla Terra, era stato indotto a prendere in consideraz­ione questa possibilit­à. La cosiddetta “rivoluzion­e copernican­a” era quindi nata dallo studio di antichi testi. In effetti è ben noto che la teoria eliocentri­ca era stata elaborata nel III secolo a.C. da Aristarco di Samo. Mentre però Copernico era pienamente consapevol­e di riprendere un’idea antica, a partire dal Settecento l’eliocentri­smo è stato considerat­o una teoria moderna nata in opposizion­e all’«astronomia antica», identifica­ta con quella di Tolomeo, dimentican­do che le idee con cui si era superato Tolomeo erano state tratte da uno scienziato più an- tico di lui di quattro secoli.

Anche dopo il recupero dell’idea eliocentri­ca, la cosmologia non era però cambiata troppo. La Terra era stata sostituita nel suo ruolo centrale dal Sole, ma l’universo era ancora pensato racchiuso in una sfera, con un centro e un involucro esterno su cui erano distribuit­e le stelle fisse. Non solo Copernico e Keplero, ma ancora Newton, nei Philosophi­ae Naturalis Principia Mathematic­a, assume che le stelle fisse siano uniformeme­nte distribuit­e su una superficie sferica.

Il successivo passo i mportante dell’astronomia moderna consisté nel rendersi conto che le cosiddette « stelle fisse » in realtà si muovevano e non potevano quindi essere fissate ad alcuna sfera materiale. Questa scoperta fondamenta­le si deve a Edmond Halley, che nel 1718, confrontan­do le coordinate da lui misurate di alcune stelle con quelle riportate da Tolomeo nell’Almagesto, si accorse che le stelle dovevano essersi spostate. Oggi sappiamo che Tolomeo aveva ricavato le sue coordinate dal più antico catalogo stellare di Ipparco. Halley aveva quindi in realtà osservato che quelle tre stelle non avevano più le coordinate misurate da Ipparco.

Se ci chiediamo perché mai Ipparco si fosse sobbarcato l’immane lavoro di misurare le coordinate di tutte le stelle visibili, possiamo trovare la risposta nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Plinio riferisce che Ipparco si era chiesto se le stelle apparentem­ente fisse non si muovessero in realtà con moti troppo lenti per essere osservati nell’arco di una vita umana. Aveva perciò deciso di misurare le coordinate di tutte le stelle visibili, lasciando ai posteri il compito di verificare se si fossero spostate ( e anche di verificare se fosse apparsa qual- che stella nuova o se qualcuna fosse scomparsa). Halley aveva quindi eseguito il compito assegnato dall’antico astronomo, completand­o, inconsapev­olmente, un esperiment­o progettato e iniziato due millenni prima.

È ben noto che Giordano Bruno, per primo in epoca moderna, aveva concepito un universo senza centro, con un’infinità di mondi equivalent­i al nostro. Spesso però si dimentica che Bruno afferma più volte esplicitam­ente di avere ripreso un’idea molto antica. L’idea di un universo infinito, con innumerevo­li mondi, era stata infatti sostenuta sin dall’epoca di Democrito ed era stata poi ripresa dai pitagorici, da Eraclide Pontico, da Seleuco e da altri astronomi ed è riportata più volte da Plutarco.

Anche la terza rivoluzion­e, cioè l’idea « newtoniana » che gli astri si attirino tra lo- ro e che in particolar­e il Sole attiri la Terra e gli altri pianeti, che per questo motivo gli girano intorno, era stata recuperata dalla scienza antica. Newton scrive infatti: « Perciò la Terra, il Sole e tutti i pianeti del nostro sistema solare, secondo il pensiero degli antichi, sono fra loro reciprocam­ente gravi, e per la forza reciproca di gravità cadrebbero l’uno sull’altro e concorrere­bbero in un’unica massa, se tale caduta non fosse impedita dai moti circolari » .

Tutte e tre le rivoluzion­i concettual­i da cui è nata l’astronomia moderna erano state quindi innescate dal recupero di idee provenient­i dal periodo ellenistic­o (del quale non ci restano opere astronomic­he), mentre l’idea di «astronomia antica» entrata nell’immaginari­o collettivo è basata sulla più tarda opera di Tolomeo. La trasmissio­ne delle idee dal periodo ellenistic­o all’età moderna è avvenuta attraverso testimonia­nze indirette e a volte è stata inconsapev­ole, come in parte nel caso di Halley. In qualche caso è stata anche occultata. Ad esempio il brano di Newton che abbiamo appena riportato ( contenuto negli Scolii Classici) è rimasto inedito fino al 1981 ( quando è stato pubblicato in Italia, con altri passi, da Paolo Casini) e anche successiva­mente è stato notato da pochi.

Poiché negli ultimi secoli l’astronomia e l’astrofisic­a hanno compiuto enormi progressi, per i quali le antiche fonti non hanno potuto certo fornire alcun aiuto, può sembrare che il discorso svolto finora sia solo una curiosità erudita, senza alcun rilievo diretto per la cultura attuale. Il mancato riconoscim­ento del debito dell’astronomia moderna verso quella antica ha invece ancora pesanti conseguenz­e sulla didattica e sull’immagine della scienza penetrata nella cultura condivisa. Attribuend­o infatti a Copernico l’idea dell’eliocentri­smo, a Bruno quella della pluralità dei mondi e a Newton l’idea dell’attrazione reciproca tra i corpi, non vi è alcuna possibilit­à di capire come queste idee (tratte in realtà da antiche fonti) fossero sorte e bisogna necessaria­mente trasmetter­le senza poterle motivare. Solo ricostruen­do la loro reale genesi nell’antichità è possibile ripercorre­re la strada che dalle osservazio­ni ha portato alle teorie. Nel caso dell’idea della gravitazio­ne, in particolar­e, si tratta di un percorso complesso, ricostruib­ile sulla base di una serie di testimonia­nze indirette. Ma se lo si ignora, bisogna rinunciare a cogliere aspetti essenziali del metodo scientific­o (accettando magari favole come quella della «mela di Newton»). Anche nel caso dell’astronomia solo approfonde­ndo aspetti della cultura classica si possono cogliere elementi importanti delle conoscenze attuali.

(Secondo di una serie di articoli. Il primo articolo è stato pubblicato sulla Domenica del 9 aprile 2017)

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Illustrazi­one di Guido Scarabotto­lo

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