C’È DEL CLASSICO NELLE RIVOLUZIONI MODERNE
L’ eliocentrismo, l’immensità del cosmo e la gravitazione universale: sono idee di cui troviamo traccia nel pensiero ellenistico
Secondo la vulgata usualmente accettata, gli antichi greci avrebbero creduto in un cosmo finito e sferico, centrato in una Terra immobile e limitato da una sfera cristallina ruotante, nella quale le stelle fisse sarebbero state incastonate come gemme in un gioiello. Tra gli eventi che hanno caratterizzato il sorgere della modernità si è sempre dato gran peso ad alcune rivoluzioni culturali che riguardano direttamente l’astronomia. La prima e la più famosa è la « rivoluzione copernicana», che ha spodestato la Terra dal suo ruolo centrale a favore del Sole. La seconda ha abolito la sfera cristallina delle stelle fisse, sostituendo al cosmo finito e sferico un universo immenso, in cui il Sole non era più che una delle innumerevoli stelle, tutte mobili. La terza è dovuta a Newton che, grazie al concetto di gravitazione universale, ha spiegato il perché delle caratteristiche dei moti della Terra e dei pianeti. Tutte e tre le rivoluzioni sarebbero state realizzate dagli scienziati moderni combattendo una dura lotta per scalzare le idee degli “antichi”.
Quale fu realmente l’origine delle tre rivoluzioni concettuali da cui è nata l’astronomia moderna? Nel caso della «rivoluzione copernicana» per appurarlo basta dare la parola allo stesso Copernico, che nell’epistola dedicatoria del De revolutionibus orbium coelestium scrive che, avendo trovato che diversi antichi astronomi avevano attribuito moti alla Terra, era stato indotto a prendere in considerazione questa possibilità. La cosiddetta “rivoluzione copernicana” era quindi nata dallo studio di antichi testi. In effetti è ben noto che la teoria eliocentrica era stata elaborata nel III secolo a.C. da Aristarco di Samo. Mentre però Copernico era pienamente consapevole di riprendere un’idea antica, a partire dal Settecento l’eliocentrismo è stato considerato una teoria moderna nata in opposizione all’«astronomia antica», identificata con quella di Tolomeo, dimenticando che le idee con cui si era superato Tolomeo erano state tratte da uno scienziato più an- tico di lui di quattro secoli.
Anche dopo il recupero dell’idea eliocentrica, la cosmologia non era però cambiata troppo. La Terra era stata sostituita nel suo ruolo centrale dal Sole, ma l’universo era ancora pensato racchiuso in una sfera, con un centro e un involucro esterno su cui erano distribuite le stelle fisse. Non solo Copernico e Keplero, ma ancora Newton, nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, assume che le stelle fisse siano uniformemente distribuite su una superficie sferica.
Il successivo passo i mportante dell’astronomia moderna consisté nel rendersi conto che le cosiddette « stelle fisse » in realtà si muovevano e non potevano quindi essere fissate ad alcuna sfera materiale. Questa scoperta fondamentale si deve a Edmond Halley, che nel 1718, confrontando le coordinate da lui misurate di alcune stelle con quelle riportate da Tolomeo nell’Almagesto, si accorse che le stelle dovevano essersi spostate. Oggi sappiamo che Tolomeo aveva ricavato le sue coordinate dal più antico catalogo stellare di Ipparco. Halley aveva quindi in realtà osservato che quelle tre stelle non avevano più le coordinate misurate da Ipparco.
Se ci chiediamo perché mai Ipparco si fosse sobbarcato l’immane lavoro di misurare le coordinate di tutte le stelle visibili, possiamo trovare la risposta nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Plinio riferisce che Ipparco si era chiesto se le stelle apparentemente fisse non si muovessero in realtà con moti troppo lenti per essere osservati nell’arco di una vita umana. Aveva perciò deciso di misurare le coordinate di tutte le stelle visibili, lasciando ai posteri il compito di verificare se si fossero spostate ( e anche di verificare se fosse apparsa qual- che stella nuova o se qualcuna fosse scomparsa). Halley aveva quindi eseguito il compito assegnato dall’antico astronomo, completando, inconsapevolmente, un esperimento progettato e iniziato due millenni prima.
È ben noto che Giordano Bruno, per primo in epoca moderna, aveva concepito un universo senza centro, con un’infinità di mondi equivalenti al nostro. Spesso però si dimentica che Bruno afferma più volte esplicitamente di avere ripreso un’idea molto antica. L’idea di un universo infinito, con innumerevoli mondi, era stata infatti sostenuta sin dall’epoca di Democrito ed era stata poi ripresa dai pitagorici, da Eraclide Pontico, da Seleuco e da altri astronomi ed è riportata più volte da Plutarco.
Anche la terza rivoluzione, cioè l’idea « newtoniana » che gli astri si attirino tra lo- ro e che in particolare il Sole attiri la Terra e gli altri pianeti, che per questo motivo gli girano intorno, era stata recuperata dalla scienza antica. Newton scrive infatti: « Perciò la Terra, il Sole e tutti i pianeti del nostro sistema solare, secondo il pensiero degli antichi, sono fra loro reciprocamente gravi, e per la forza reciproca di gravità cadrebbero l’uno sull’altro e concorrerebbero in un’unica massa, se tale caduta non fosse impedita dai moti circolari » .
Tutte e tre le rivoluzioni concettuali da cui è nata l’astronomia moderna erano state quindi innescate dal recupero di idee provenienti dal periodo ellenistico (del quale non ci restano opere astronomiche), mentre l’idea di «astronomia antica» entrata nell’immaginario collettivo è basata sulla più tarda opera di Tolomeo. La trasmissione delle idee dal periodo ellenistico all’età moderna è avvenuta attraverso testimonianze indirette e a volte è stata inconsapevole, come in parte nel caso di Halley. In qualche caso è stata anche occultata. Ad esempio il brano di Newton che abbiamo appena riportato ( contenuto negli Scolii Classici) è rimasto inedito fino al 1981 ( quando è stato pubblicato in Italia, con altri passi, da Paolo Casini) e anche successivamente è stato notato da pochi.
Poiché negli ultimi secoli l’astronomia e l’astrofisica hanno compiuto enormi progressi, per i quali le antiche fonti non hanno potuto certo fornire alcun aiuto, può sembrare che il discorso svolto finora sia solo una curiosità erudita, senza alcun rilievo diretto per la cultura attuale. Il mancato riconoscimento del debito dell’astronomia moderna verso quella antica ha invece ancora pesanti conseguenze sulla didattica e sull’immagine della scienza penetrata nella cultura condivisa. Attribuendo infatti a Copernico l’idea dell’eliocentrismo, a Bruno quella della pluralità dei mondi e a Newton l’idea dell’attrazione reciproca tra i corpi, non vi è alcuna possibilità di capire come queste idee (tratte in realtà da antiche fonti) fossero sorte e bisogna necessariamente trasmetterle senza poterle motivare. Solo ricostruendo la loro reale genesi nell’antichità è possibile ripercorrere la strada che dalle osservazioni ha portato alle teorie. Nel caso dell’idea della gravitazione, in particolare, si tratta di un percorso complesso, ricostruibile sulla base di una serie di testimonianze indirette. Ma se lo si ignora, bisogna rinunciare a cogliere aspetti essenziali del metodo scientifico (accettando magari favole come quella della «mela di Newton»). Anche nel caso dell’astronomia solo approfondendo aspetti della cultura classica si possono cogliere elementi importanti delle conoscenze attuali.
(Secondo di una serie di articoli. Il primo articolo è stato pubblicato sulla Domenica del 9 aprile 2017)