Analitica, rigorosa, ribelle
Eva aveva perso venticinque chili e nonostante ciò si programmava assieme l’estate e molto oltre. Dopo una lunga e sofferta malattia, Eva Picardi ci ha lasciati d’improvviso domenica scorsa e i suoi funerali si sono svolti mercoledì nella cappella S. Maria dei Bulgari all’Archiginnasio di Bologna. Un palazzo splendido, nulla di più confacente a Eva avrebbe potuto scegliere il suo collega Paolo Leonardi. Un lungo portico di trenta arcate che si scandisce su due piani. Cappella Bulgari sul cui altare maggiore domina la pala dell’Annunciazione del fiammingo Denis Calvaert. Eva amava l’arte, oltre che la musica classica, il teatro, il cinema.
Eva, l’intellettuale, non era affatto una nerd. Studia in Inghilterra, ottenendo giovanissima un Ph.D. a Oxford, sotto la supervisione di Michael Dummett. Poi in Germania (Alexander von Humbodt Fellowship, Erlangen/Nür- nberg) è Visiting Professor all’Università di Helsinky e presso il Philosophisches Institut dell’Università di Bielefeld, collaborando tra l’altro quale consulente scientifico dello ZiF per un triennio. Viaggia, tiene conferenze, parla correntemente quattro lingue, ma è “anglosassone” e riservatissima. E così se le aveste domandato di cosa si occupasse nella vita non vi avrebbe mai enumerato i suoi numerosi titoli e le sue molteplici appartenenze, bensì vi avrebbe risposto: studio e insegno filosofia, aggiungendo forse che le sue ricerche riguardavano la filosofia del linguaggio di matrice prettamente analitica.
Eppure gli addetti ai lavori ben sanno che i suoi punti di eccellenza, insuperabili, permangono gli studi sulla filosofia di Gottlob Frege e Ludwig Wittgenstein, e non solo. Per snocciolare quale suo titolo: ha fatto parte del comitato editoriale e della direzione della rivista «Lingua e stile», è stata membro dell’Advis ory Board della rivista « European Journal of Philosophy » nonché del comitato di consulenza della ri- vista «Iride» e del comitato editoriale della Palgrave /Macmillan ( New Series on the History of Analytic Philosophy), e, ancora, membro del comitato scientifico del « Journal for the History of Analytic Philosophy » e dell’accademia delle Scienze di Bologna.
Molti altri suoi titoli mancano in tal elenco, ma, intendo rispettarla, perché so che già nominare solo i presenti l’avrebbe probabilmente irritata, con una sua risata. Forse un qualcosa le avrebbe premuto maggiormente, una sorta di denuncia: dopo essere stata socia fondatrice (insieme ad altri) della Sifa ed esserne stata presidente-donna (sebbene non il primo – Rosaria Egidi l’aveva preceduta), negli ultimi anni non ritrovava più in essa: «Dove è finita l’analiticità e la sua purezza?». Tornando a Oxford, e trascorrendo un anno presso All Souls College, anche lì l’eccelsa filosofa anglosassone aveva provato un po’ di noia. Era una analitica rigorosa e ribelle, e Oxford le risultava meno frizzante di un tempo, un po’ accasciata, seppure sempre in una eleganza e formalità da lei amata e praticata. Della filosofia analitica degli anni di Dummett non rimpiangeva (a Oxford come in Italia) solo la purezza, ma anche un fare filosofia che consistesse in cultura e profondità, e non in un semplice esercizio ginnico-intellettuale, come ormai accade troppo spesso. Irrideva la filosofia e al contempo disdegnava l’iperspecialismo senza visione, aperture, futuri e passati.
Cosa ci ha lasciato in eredità Eva? L’equilibrio tra il rigore specialistico e una filosofia vissuta quotidianamente quale cultura sopraffina. E le sue pub- blicazioni in uno stile anglosassone, perfezionista, mai all’americana del publish or perish, mai ridondanti, mai dispersive, libri e articoli in inglese, italiano e tedesco, su Frege, sull’analisi filosofica, le teorie del significato, su Brandom, Davidson, Dummett, Kerry, Peano, Quine, Russell, Rorty, Sigwart, Wittgenstein che colpiscono per acutezza, lungimiranza, chiarezza. Eva si è sempre attestata, ancor poco prima di morire, aperta a ogni critica. Priva di ogni inutile narcisismo. E da anti-narcisista non ha mai evitato di lavorare a traduzioni o curatele. A lei dobbiamo un Frege ben tradotto e ben curato in italiano. Suoi sono gli studi sull’intricata discussione (ottocentesca e novecentesca) su psicologismo e naturalismo in logica e in filosofia della matematica. Ma molto è rimasto nei cassetti del suo studio e sul computer. Eva ha affascinato socraticamente studenti a studentesse, in un mondo non maschile ma maschilista, rappresentando un modello di pensiero solitario e dialogante per molti giovani. Ha allevato accademicamente molti “pulcini”, non sempre riconoscenti. Auguriamoci che ora il suo posto da Ordinario vada assegnato nel rispetto di Eva e dei suoi valori. (articolo scritto in collaborazione con
Elisabetta Lalumera)