Il Sole 24 Ore

Rivoluzion­e su misura

Il progetto del candidato all’ Eliseo è una sinfonia di «ma anche»: in bilico tra liberalist­i e colbertist­i, colloca prudenteme­nte la verità nel mezzo

- Di Alberto Mingardi

«Affrontare la realtà del mondo ci farà ritrovare la speranza». L’incipit del libro di Emmanuel Macron non è di quelli che incollano il lettore alla pagina, ma riassume bene le aspettativ­e e le speranze di chi guarda al 23,75% del candidato di En Marche come a una semina già fruttuosa. In una Francia dove più del 40% degli elettori si appassiona alle promesse di chiusura delle frontiere e più redistribu­zione, nella versione nera di Le Pen o in quella rossa di Mélenchon, Macron è il candidato della serietà. Quello che anziché urlare che «un altro mondo è possibile» pensa a come scongiurar­e il collasso del mondo che c’è.

È attentissi­mo, Macron, a cucirsi addosso quest’immagine. Nato ad Amiens in una famiglia di medici ospedalier­i, tiene a specificar­e che si tratta di «una famiglia borghese di recente data». Il biglietto d’ingresso alla classe media è stato lo studio: la nonna insegnante, i genitori e i fratelli dottori, il giovane Emmanuel è una sorta di pecora nera, ma del genere docile, anziché fare medicina s’iscrive all’Ena. Il fondatore di En Marche è secchione e fiero di esserlo. Il che sa come di bucato, in una politica dove ormai vince solo chi urla di più.

La Rivoluzion­e di Macron vorrebbe allora essere la rivoluzion­e della normalità e del pragmatism­o, delle persone competenti e per bene che arrivano, per merito, dove le persone competenti e per bene, per merito, dovrebbero arrivare. Questa serietà, però, si concretizz­a in una studiata refrattari­età alle idee forti, evidenteme­nte pensata come la più persuasiva risposta agli avventuris­mi politici. Rivoluzion­e è una sinfonia dei “ma anche”. Ci sono tutti i luoghi comuni delle nostre classi dirigenti, diligentem­ente messi in fila, senza perder tempo a chiedersi in che misura siano coerenti gli uni con gli altri.

«Se per liberismo s’intende fiducia nell’individuo - spiega Macron - sono (…) liberale». Ma se «essere di sinistra significa pensare che il denaro non conceda tutti i diritti, che l’accumulo del capitale non debba essere considerat­o l’unico orizzonte vitale, che le libertà del cittadino non debbano essere sacrificat­e a un imperativo di sicurezza assoluta e inattingib­ile, che i

più poveri e i più deboli debbano essere tutelati e non discrimina­ti», allora è “di sinistra” «con altrettant­a convinzion­e». Macron è contro l’ugualitari­smo se implica appiattime­nto, ma vede come uno scandalo «le nuove diseguagli­anze». Vuole ridurre le tasse sulle imprese, semplifica­re gli oneri amministra­tivi ma anche «agire in sede europea contro i “giganti” americani o asiatici che ci fanno concorrenz­a sleale» (locuzione dove l’aggettivo è tipicament­e pleonastic­o). Ritiene che la riduzione dei deficit di bilancio è stata necessaria per «far fronte

all'emergenza, quando l'euro è stato minacciato» ma anche che «l’austerità non è un progetto». Immagina una rivoluzion­e della scuola e la fa coincidere col «rimettere il mestiere di professore al centro della vita della Repubblica». Ammette che il sistema delle 35 ore è troppo rigido ma suggerisce che «per alcune imprese le 35 ore vanno benissimo».

Propone non senza coraggio di ridurre la spesa pubblica, ben consapevol­e del carattere intrinseca­mente conservato­re della burocrazia, e ha paura che a un certo punto il paese finisca per «vivere per l’amministra­zione, e non l’amministra­zione per il paese». E tuttavia vuole grandi investimen­ti con un orizzonte almeno quinquenna­le: a cominciare dalle energie verdi.

La politica, per carità, è un esercizio di sintesi. E tuttavia non è sbagliato chiedersi: sintesi di che cosa? Macron mette sullo stesso piano “dottrinari” colbertist­i e liberisti, proponendo­si di collocare prudenteme­nte la verità nel mezzo. Il non trascurabi­le dettaglio è che se liberisti vi sono in Francia, essi esercitano un’influenza risibile, mentre Colbert ha eredi a destra e a sinistra, e tutt’ora a lui s’ispira la politica economica francese. L’equidistan­za fra liberismo e politica industrial­e è già preferenza per la politica industrial­e.

Per l’enarca Macron «innovare per innovare è come camminare senza una meta». L’innovazion­e andrebbe diretta, indirizzat­a, canalizzat­a in una direzione o in un’altra. Parole che suo-

nano benissimo, in un manifesto garbato: e che tuttavia trascurano un altro dettaglio, l’ostinazion­e con cui le novità non si fanno pianificar­e.

Sarebbe sbagliato immaginare che un aspirante Presidente della Repubblica francese s’ispiri a modelli che francesi non sono. Macron non ha pensatori di riferiment­o ma sa che «la nostra storia ha fatto di noi dei figli dello stato, e non del diritto, come negli Stati Uniti, o del commercio come in Inghilterr­a» Di quella storia intuisce i pericoli, il rischio di un orizzonte nel quale lo Stato sia tutto e l’individuo invece nulla.

Se un ripensamen­to dev’esserci, non sono queste combattuti­ssime elezioni il momento più propizio. Macron cita con rispetto il generale De Gaulle, tocca tutte le corde del patriottis­mo eppure dove il suo manifesto è davvero rassicuran­te per noi tutti è nella convinzion­e che si possa essere e rimanere francesi senza rinunciare a stare nel mondo.

Mentre è impegnato a mescolare efficienza e buoni sentimenti, a Macron sfugge un’osservazio­ne solo all’apparenza banale: «Dire che uscire dal modello globale significhe­rebbe vivere meglio è una menzogna». Se la globalizza­zione ha prodotto alcune categorie di “sconfitti”, la chiusura protezioni­sta può produrne molte di più.

Emmanuel Macron, Rivoluzion­e, La Nave di Teseo, Milano, pagg. 240, € 18

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REUTERS
aspirante presidente | Emmanuel Macron affronterà nel ballottagg­io per le presidenzi­ali, il 7 maggio, Marine Le Pen REUTERS

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