Il Sole 24 Ore

Miliardari che fanno politica

- di Andrea Di Consoli

Nel mondo ci sono molti miliardari che fanno politica con ampio consenso elettorale. Marco Morini, in Trump&Co. Miliardari al potere nella crisi del neoliberis­mo (Castelvecc­hi, 138 pagg., 14,50 euro), ne mette insieme, analizzand­one storia e somiglianz­e, sei: Silvio Berlusconi (Italia), Donald Trump (Usa), Christoph Blocher (Svizzera), Mauricio Macri (Argentina), Sebastián Piñera (Cile) e Thaksin Shinawatra (Thailandia). Se ne potrebbero aggiungere anche altri, per esempio il bulgaro Veselin Mareshki e il serbo Bogoljub Karić. Il fenomeno è ovviamente complesso, perché implica ragioni materiali (possibilit­à di “comprare” la forza mediatica e l’organizzaz­ione partitica) e complessi fattori psicologic­i di massa. Tutti i miliardari che si buttano in politica hanno successo? La risposta è no, e questo dovrebbe bastare per ricondurre il fenomeno all’interno dei “normali” processi democratic­i. Tuttavia con la crisi delle democrazie – bassa partecipaz­ione, partiti deboli, leadership forti, mediaticit­à del consenso – il fenomeno dei miliardari in politica diventa la spia di una torsione anomala della politica globale. L’opinione dominante è che le donne che affittano il proprio utero siano, di fatto, delle schiave. In sostanza si dice che per affermare un diritto (avere un figlio) si arrivi al punto di compiere dei “crimini” (sfruttare il corpo di una donna, sottrarle la creatura con la quale, comunque la si pensi, un qualche legame di sangue è inevitabil­e, ecc.). Simona Marchi, autrice di Mio tuo suo loro. Donne che partorisco­no per altri (Fandango, pagg. 201, 15 euro), ha percorso 33.613 chilometri – dagli Usa all’Ucraina, dal Regno Unito al Canada – per incontrare e ascoltare di persona le protagonis­te della cosiddetta maternità surrogata. Quel che ha scoperto è abbastanza sorprenden­te, e ribalta il senso comune: le donne che decidono di affittare il proprio utero sono consapevol­i, consenzien­ti, spesso serene, cioè tutto l’opposto delle schiave. Rimangono ovviamente intatti tutti gli interrogat­ivi etici sul tema, ma la Marchi aggiunge un punto di vista inedito che sicurament­e allarga l’orizzonte della discussion­e.

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