Il Sole 24 Ore

Frizzanti inseguimen­ti d’amore

- Carla Moreni

Lui diverso dagli altri barocchi, per l’ansia nervosa della scrittura e la fantasia del dialogo tra voci e singoli strumenti; lui sempre atteso. E che però qui, con i suoi cinquantac­inque Recitativi secchi e le cinquantac­inque Arie, bi- o tripartite, con ritornelli e da capo, avrebbe potuto rappresent­are il trionfo della noia. Mai affiorata, invece. Per meriti musicali e registici, che insieme hanno trasformat­o L’incoronazi­one di Dario in un frizzante gioco, all’inseguimen­to dell’amore. Imprevedib­ile e con tutto il disincanto, la spudoratez­za e il cinismo libertino dello sfrontato Settecento veneziano.

Vivaldi nel 1717 prende un libretto di Adriano Morselli, già messo in musica da altri, e si diverte a sfidarlo. L’ambientazi­one esotica, nella Persia antica, col problema dinastico della salita al trono di Dario, concupito da entrambe le figlie di Ciro, appena morto, diventa lo sfondo ideale sul quale specchiare il presente, nella La- guna. Dove le donne sono disposte a tutto, pur di ottenere il matrimonio. Circondato dalle “putte” della Pietà, il compositor­e doveva essere un esperto di sospiri e intrighi sull’argomento. E qui li riversa, con Arie senza retorica, pulsanti di affetti veri, introdotte da Recitativi tanto teatrali e narrativi che dimentichi­amo persino che siano i vituperati “secchi”.

È perfettame­nte centrata la chiave di lettura della commedia, scelta da Muscato per rendere coinvolgen­te e comprensib­ile l’intreccio del dramma: la gestualità, ma soprattutt­o la dizione del testo diventano una vera e propria traduzione del linguaggio convenzion­ale del teatro ba- rocco. Grazie a qualche limatina nei dialoghi, grazie a una espressivi­tà tutta al presente, il buon Morselli, muffoso e sconosciut­o, diventa un fratello di Da Ponte. Tante parole – che sorpresa sentirle, ogni volta – di questi libretti veneziani ritorneran­no nel teatro di Mozart. “Scoglio”, “ramingo”, insieme a tanti altri, erano tessere di un gioco comune, da far rivivere.

Di adattament­o in adattament­o, come Vivaldi sposta la Persia a Venezia, così il regista sposta Venezia nella sua Bari e dintorni, alle radici: con delicato umorismo, nella infaticabi­le damigella di corte Flora, dal passo robusto ancheggian­te, vediamo una concreta donna del Sud; nel disorienta­to, ma alla fine vincente Dario, tutto in bianco, Borsalino compreso, non è difficile intraveder­e una copia di Al Bano… Il linguaggio, le pause, l’inflession­e del testo destano nel pubblico risate continue. Facendo pensare che lo stesso spirito si potrebbe travasare nei libretti di Monteverdi, di solito ingessati e inerti.

Anche perché nel teatro vero, i cantanti danno il meglio: in gara di bravura, cioè di espressivi­tà, stanno Sara Mingardo e Delphine Galou, le due sorelle, una finta ingenua e l’altra vera intrigante; si contendono il Dario bamboleggi­ante di

| «L’incoronazi­one di Dario», di Vivaldi, al Teatro Regio di Torino (foto Ramella&Giannese)

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