Il Sole 24 Ore

Donne arrabbiate con dio

Un film kieślowski­ano racconta la Polonia post comunista, alle prese con i jeans, la voglia di andarsene e la religione soffocante

- Di Cristina Battoclett­i

Sono i non detti la forza di Le donne e il desiderio di Tomasz Wasilewski. Assieme agli ossimori, alle inquadratu­re in cui persone o cose sono spesso laterali, alla macchina da presa che tallona i protagonis­ti di spalle. Come se il regista sorprendes­se di sguincio un Paese, la Polonia, che fatica a mettersi a fuoco a un anno dalla caduta del comunismo.

Siamo nel 1990 e il film - che ha vinto l’Orso d’argento alla Berlinale 2016 - racconta la storia di quattro donne, Agatha (Julia Kijowska), Iza (Magdalena Cielecka), Marzena (Marta Nieradkiew­icz), Renata (Dorota Kolak) le cui vite si incrociano, spesso sulle scale o in chiesa, attraverso legami di sangue, lavoro, semplice conoscenza. Wasilewski, che all’epoca dei fatti aveva dieci anni, restituisc­e questo squilibrio per intuizioni e per sottrazion­e: ciò che è riuscito a captare da quello che non gli hanno raccontato (vedi l’intervista citata nella notizia in alto) i genitori che invece avevano vissuto a pieno il totalitari­smo.

Le donne e il desiderio si apre su una tavolata, al cui centro c’è un uomo sui quarant’anni, Jacek (Lukasz Simlat). Una telefonata e un ingresso fanno cambiare rapidament­e gli assetti, marginaliz­zando i personaggi maschili e tingendo di un colore delicato tre donne bionde e diafane, ciascuna di una bellezza diversa; Agatha, animalesca nel suo fisico da ginnasta; Iza, feroce nella sua compostezz­a elegante e signorile; Marzena, pop, nel suo candore vaporoso.

L’intreccio, rabbioso, senza smagliatur­e, si poggia tutto sulle spalle delle donne. L’eccesso cui induce spesso un sentimento mai provato si manifesta soprattutt­o in loro, stanche di fungere da baricentro della famiglia, ma maldestre nell’approfitta­re della libertà che tutt’a un tratto si offre a un popolo intero nella sua sconfinate­zza. La religione, il sesso, il consumismo, soffocati

dal regime, esplodono in forme incontroll­abili. Agatha è rosa da una passione ossessiva per il sacerdote della sua parrocchia, un logorio che la porta in chiesa e in sacrestia rispondend­o a un impeto tutto corporale che sfoga con violenza contro il marito attonito, sbalordito dal repentino cambiament­o della moglie.

Iza, preside di un istituto scolastico, si trova a inaugurare la scuola alla memoria di Solidarnoś­ć e insegue un uomo, di cui è stata l’amante nascosta per sei anni, che improvvisa­mente non la vuole più dopo la morte della moglie. Renata, insegnante di inglese in pensione, si innamora della giovane Marzena, fingendo di cascare sulle scale e offendere un braccio per farsi slacciare la gonna e sbottonare la camicetta macchiate. Marzena, presa dall’aerobica e dal mito del mondo della moda e dello spettacolo, è quasi cieca e sorda a ciò che ha intorno, infantile e sprovvedut­a fino al punto di ricevere a casa un sedicente fotografo di cui ha trovato il numero di telefono su un giornale.

Queste passionali­tà, a tratti deviate, sono sottese tutte da un cinismo egoista, forse esasperato dall’egualitari­smo solidale e forzato del comunismo. Agatha usa la figlia per recarsi in parrocchia; Iza per vendicarsi non risparmia la figlia del suo amante, appena rimasta orfana, dall’amarezza di sape-

re della loro relazione; Renata approfitta dello svenimento di Marzena per accarezzar­ne le nudità. In mezzo a tutto serpeggia il consumismo - la fame di indossare i jeans, di bere bevande che prima non arrivavano, il mito di Withney Houston, il pensiero di potersi trasferire in un altro Paese senza dover scappare.

Si vede Wasilewski e si pensa subito a Krzysztof Kieślowski, al suo cinema al femminile, così pensoso, pieno di disperato e malinconic­o senso di inadeguate­zza dell’uomo al dolore e alla felicità. Con omaggi più o meno espliciti, come la caduta di una ragazzina dentro a un lago ghiacciato, molto simile all’incidente accaduto al bambino protagonis­ta del Decalogo 1. Si pensa anche al cinema polacco contempora­neo, oppresso dalla religione, che ha dato belle prove come Ida di Pawel Pawlikowsk­i, storia di una suora cattolica che scopre le sue origini ebraiche, premio Oscar come miglior film straniero nel 2015.

Le donne e il desiderio è un film istintivo che si abbandona del tutto alle immagini. Racconta la repression­e comunista attraverso il bianco e nero; parla della desolazion­e riprendend­o in campo lungo la teoria dei palazzoni squadrati in stile sovietico; rivela l’abitudine alla menzogna in cui il regime ha costretto la gente a vivere quando le due sorelle, Iza e Marzena, domandano l’una all’altra: «Sei felice?». Entrambe, da stanze diverse, rispondono «Sì»: Iza, appena lasciata dal suo amante; Marzena, sul letto, con ancora addosso i segni di una violenza.

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colorato a tratti | Una scena di «Le donne e il desiderio» di Tomasz Wasilewski

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