Il Sole 24 Ore

Meglio un fratello umano che animale

- di Lu igi Paini

Essere figli unici, non c’è davvero niente di meglio. Mamma e papà tutti per sé, canzoncine e fiabe a gogò prima di addormenta­rsi, la vita che scorre come un lungo fiume tranquillo. Già, ma chi è quel pupattolo alto un soldo di cacio in giacca e cravatta, con la ventiquatt­rore sotto il braccio, che sta scendendo da un taxi? Folgorante inizio di un film d’animazione che scava argutament­e nella psiche di un fanciullo viziato. Il detestatis­simo fratellino appare infatti come la peggiore delle minacce. Fine della pacchia, stop al mondo dei sogni. In casa è entrata la dura realtà, con tutte le sue “terribili” conseguenz­e. Trasfigura­ta così, la naturale gelosia del maggiore verso il nuovo entrato diventa fonte inesauribi­le di gag. Il nemico trama per raggiunger­e il cuore dei genitori, e davvero non fa alcuna fatica per ottenere il suo scopo. Sì, però, qual è davvero il suo scopo? Ecco un’altra invenzione che spariglia le carte. Il “baby boss” lavora per una grande azienda. E ha avuto l’incarico di contrastar­e una pericolosi­ssima deriva sociale: il crescente amore degli adulti per i cuccioli di animali, che sta portando a mettere in secondo piano i pargoletti del genere umano. Si ride, e intanto ci si rende conto che questi benedetti sceneggiat­ori di Hollywood una pulce nell’orecchio ce la stanno mettendo. Cani e gatti sempre più dolci e simpatici e belli, e soprattutt­o molto più facili da gestire dei bambini, senza capricci e senza soverchie beghe educative. Il nuovo bebè ha un compito, tutto sommato, niente affatto negativo. Quasi quasi, anche per il suo diretto tornaconto, sarebbe il caso che il fratello maggiore deponesse l’ascia di guerra.

Baby Boss, di Tom McGrath, Usa 2017, animazione, 98

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