Meglio un fratello umano che animale
Essere figli unici, non c’è davvero niente di meglio. Mamma e papà tutti per sé, canzoncine e fiabe a gogò prima di addormentarsi, la vita che scorre come un lungo fiume tranquillo. Già, ma chi è quel pupattolo alto un soldo di cacio in giacca e cravatta, con la ventiquattrore sotto il braccio, che sta scendendo da un taxi? Folgorante inizio di un film d’animazione che scava argutamente nella psiche di un fanciullo viziato. Il detestatissimo fratellino appare infatti come la peggiore delle minacce. Fine della pacchia, stop al mondo dei sogni. In casa è entrata la dura realtà, con tutte le sue “terribili” conseguenze. Trasfigurata così, la naturale gelosia del maggiore verso il nuovo entrato diventa fonte inesauribile di gag. Il nemico trama per raggiungere il cuore dei genitori, e davvero non fa alcuna fatica per ottenere il suo scopo. Sì, però, qual è davvero il suo scopo? Ecco un’altra invenzione che spariglia le carte. Il “baby boss” lavora per una grande azienda. E ha avuto l’incarico di contrastare una pericolosissima deriva sociale: il crescente amore degli adulti per i cuccioli di animali, che sta portando a mettere in secondo piano i pargoletti del genere umano. Si ride, e intanto ci si rende conto che questi benedetti sceneggiatori di Hollywood una pulce nell’orecchio ce la stanno mettendo. Cani e gatti sempre più dolci e simpatici e belli, e soprattutto molto più facili da gestire dei bambini, senza capricci e senza soverchie beghe educative. Il nuovo bebè ha un compito, tutto sommato, niente affatto negativo. Quasi quasi, anche per il suo diretto tornaconto, sarebbe il caso che il fratello maggiore deponesse l’ascia di guerra.
Baby Boss, di Tom McGrath, Usa 2017, animazione, 98