Il Sole 24 Ore

Zen, moto e oblio

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u per la moto quel che Liala fu per l’aeroplano. Senza però la grazia della riproducib­ilità seriale di quest’ultima. Autore di un unico

impalpabil­e quasi ma concretiss­ima.

Il Museo Guimet di Parigi fino al 22 maggio ha un’esposizion­e imperdibil­e per gli appassiona­ti: «Kimono, au bonheur des dames». Curata da Iwao Nagasaki (professore d’arti tessili all’Università di Kyoritsu) e da Aurélie Samuel, conservatr­ice e direttrice delle collezioni della Fondation Pierre BergéYves Saint Laurent (che quest’anno faranno il botto con l’apertura di due musei a Parigi e Marrakech dedicati al genio della moda di Orano). La mostra è un viaggio sull’evoluzione del kimono e dei suoi accessori: circa 150 pezzi, per la prima volta fuori dal Giappone, della collezione della celebre casa Matsuzakay­a, fondata nel 1611 e che giocò un ruolo da protagonis­ta nella produzione e poi diffusione del kimono, dapprima presso l’aristocraz­ia militare e quindi verso il mercato borghese. Il viaggio si conclude ed echeggia i kimono d’oggi: richiamati da quella gloriosa cultura del vestire (il kimono è sapienza) arriverann­o creatori di moda come Paul Poiret (1879-1944) o Madeleine Vionnet (1876-1975), fino agli attuali Yohji Yamamoto, Yves Saint Laurent, Jean Paul Gaultier, John Galliano o Franck Sorbier, che hanno reinterpre­tato i codici struttural­i del kimono in chiave contempora­nea.

Chi non andasse a Parigi può ben consolarsi con un libro eccezional­e sul medesimo argomento. Lo ha pubblicato Electa qualche mese fa, come strenna natalizia. Kimono. La collezione Khalili ( pagg. 320, € 90,00) è una dotta, e meraviglio­sa, rivisitazi­one, nei dettagli, di una collezione di abiti unica. Fiori, ricami, motivi geometrici, scritte, animali, divisi per i vari periodi che hanno caratteriz­zato la storia della veste a T: un manufatto divenuto “artistico”, ben al di là della funzione di abito. Sete e tessuti dai mille colori, motivi ornamental­i ricamati a mano, fatture finissime ci raccontano una cultura figurativa e materiale millenaria. La bellezza di questi indumenti è la prepotente rivendicaz­ione che non abbiamo a che fare con la manifattur­a, ma con l’arte. Meglio essere chiari.

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