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long-seller Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta – Robert Maynard Pirsig è, infatti, un testimonial.
Con epicedi tutti sbrigativi – morto sul finire di questo aprile – Pirsig, totem qual è, ha avuto comminata l’enfasi d’onoranza propria di un rombante feticcio di derivazione (le due ruote). E l’avventura della sua stessa vita – il viaggiare di allegoria in allegoria, dal Minnesota alla California – s’è confermata derubricata in un tic: citare e nulla più. Né più né meno che uno slogan.
In quella carcassa di moto c’è l’opera letteraria, infatti, ridotta a un meme, a un tormentone, a un non luogo – per dirla col sociologismo – dove davvero accade la fuorviante chiacchiera che non rende giustizia né allo zen e nemmanco al carburatore.
Paolo Di Paolo, su «Repubblica», s’incarica della commemorazione e scrive così: «È più facile ricordare il titolo che il suo stesso nome». Ha ragione ma in questo cerimonioso addio di tutti noi a Pirsig c’è una morale immorale: nel ricordarsi solo del titolo ci si disobbliga dalla fatica di averlo letto davvero, il libro.
Sono solo alchimie di sfuggenti algoritmi quelle che la voga corrente riserva alla letteratura. Pirsig, con la sua moto, fece il botto di vendite che dal 1974 a oggi – sei milioni di copie vendute – incastona l’esotismo nella ricerca dell’Io on the road.
Ecco, l’immoralità. I libri di più sfacciato successo sono anche i meno letti. Acquistati – ci mancherebbe – ma memorizzati, per vaghe e generiche suggestioni, quel tanto che basta per parlarne in società. Non senza l’unica manutenzione richiesta: il marketing. Senza grazia seriale.
@PButtafuoco