Il primo social impact bond in Italia entro fine anno
L’obiettivo: diminuire il tasso di recidiva dei detenuti a Torino
Un capannone industriale dentro l e mura del carcere di Torino. Con detenuti che vanno al lavoro tutte le mattine. Per il suo progetto Domenico Minervini si sta dando un gran da fare. Perché il capannone ce l’ha già, è pronto. « Ho già parlato con diversi imprenditori. Per ora nessuno si è fatto avanti - spiega il direttore della Casa circondariale Lorusso Cutugno - Sono stato anche all’Unione Industriali, a gennaio. È inutile lamentarsi dei reati comuni e poi non fare nulla. La prevenzione si comincia a fare qui dentro. E la società civile è chiamata a dare il suo contributo. Incluse le imprese » . Che, peraltro, avrebbero significativi sgravi fiscali sul costo del lavoro.
Per ora gli imprenditori non si fanno vedere al carcere ex-Le Vallette. Ma a fine anno potrebbero arrivare gli investitori privati. Che, con due milioni di euro, potrebbero investire nel primo social impact
bond italiano. Adattato da Human Foundation alla realtà torinese, lo strumento vuole affrontare uno dei problemi più annosi delle carceri italiane: l’alto tasso di recidiva con sovraffollamento delle strutture e alti costi da parte dello Stato. Come farlo? Chiedendo a privati di investire capitali da erogare a cooperative e imprenditori sociali per efficaci programmi di inserimento lavorativo e sociale. Perché è risaputo che, laddove questi percorsi sono davvero validi, il rischio di reiterazione del reato crolla dal 70 al 30%, anche meno. Come dimostrano diverse esperienze ita- liane tra cui il carcere milanese di Bollate. «Il problema è che il denaro va speso bene e sono necessari meccanismi di controllo - spiega Minervini - Negli anni sono stati erogati tanti fondi. Ma spesso i programmi realizzati dalle cooperative, e sostenuti con cospicui finanziamenti, non hanno portato i benefici attesi».
L’innovazione del pay by result prevede che lo stato - in questo caso il ministero della Giustizia - restituisca il capitale agli investitori con gli interessi ( in questo caso si ipotizza il 2- 3%). Ma solo a fronte di risultati - accertati da un valutatore esterno - sulla base di obiettivi stabiliti prima dell’inizio dell’operazione (in questo caso l’indicatore chiave sarà la diminuzione del tasso di recidiva). «Vanno fatti percorsi professionalizzanti forti perché i detenuti raggiungano competenze vere » aggiunge Minervini. E poi resta la questione cruciale dei numeri. Su 1.370 detenuti al carcere torinese 230 sono impegnati nei lavori interni al carcere ( pulizia, cucine, manutenzione) e le otto cooperative offrono 35 posti di lavoro. Quando è arrivato Minervini nel 2014 erano 38 i detenuti impegnati in lavo- ri di utilità sociale fuori dal carcere. Ora sono 96 grazie ad accordi con diversi Comuni, soprattutto per attività di giardinaggio. « Se non si potenziano i numeri dei percorsi sia interni sia esterni - aggiunge Minervini - la nostra azione non sarà efficace. Il tempo della pena deve essere utile » .
Il progetto per il carcere torinese prevede il coinvolgimento di un primo gruppo sperimentale di cento detenuti, che verrà via via esteso ad altri gruppi di persone. «Di certo un progetto di medio e lungo periodo può facilitare l’efficacia del risultato» spiega Federico Mento, direttore di Human Foundation, la fondazione che ha curato lo studio di fattibilità «L’applicazione di strumenti pay by result per l’innovazione dei programmi di reinserimento sociale e lavorativo delle persone detenute». I fornitori del servizio - cioè le imprese sociali e le cooperative impegnate nei programmi di inserimento sociale- avranno un orizzonte di un paio di anni almeno. «Le organizzazioni nel carcere di Torino sono serie ma sinora hanno operato in una prospettiva disarticolata di breve termine - aggiunge Mento - . L’idea che abbiamo è mettere assieme operatori e competenze in una modalità strutturata e integrata, aggiungendo magari competenze nuove». Perché con il pay by result la qualità della realizzazione del programma è fondamentale per raggiungere i risultati e remunerare gli investitori. Che potrebbero essere estesi anche ad altri, rispetto all’impegno di Fondazione Sviluppo e Crescita Crt.
Lo studio della fondazione presieduta da Giovanna Melandri si basa sull’analisi delle best practice italiane e straniere. Che ha preso in esame i social impact bond nel carcere di Peterborough i n Gran Bretagna e Riker’s Island negli Stati Uniti. Sinora i risultati sono stati parziali. Ma l’innovazione passa i nevitabilmente dalla sperimentazione.