Il Sole 24 Ore

Eurozona, il debito pubblico «sfora» in due Paesi su tre

Vicina la soglia del 90% - Italia a rischio di procedura d’infrazione

- Chiara Bussi

Grecia, Italia, Portogallo, Cipro, Belgio e Spagna: sono i primatisti del debito pubblico, fuori linea in gran parte della Ue. Sono 13 su 19 gli Stati oltre la soglia del 60% di riferiment­o al Pil e tra questi anche la Germania, con un 68,3 per cento. La situazione italiana, tuttavia, resta a rischio di procedura d’infrazione se Bruxelles non riterrà sufficient­e la «manovrina».

C’è un filo rosso che unisce l’Eurozona. È il debito pubblico sopra la fatidica soglia del 60% del Pil fissata dal Patto di stabilità Ue. Una zavorra per le casse degli Stati che, come dimostra l’ultima fotografia di Eurostat con il fermo immagine al 2016, accomuna 13 Paesi su 19. Non per tutti, però, è scattato il livello di guardia. Nell’esame della Commission­e Ue sui Def e i Programmi nazionali di riforma che dovevano essere inviati a Bruxelles entro fine aprile i riflettori sono puntati soprattutt­o sul nostro Paese, che rischia una procedura per debito eccessivo se la “manovrina” da 3,4 miliardi non verrà ritenuta sufficient­e a mettere in sicurezza la sua dinamica. Un appuntamen­to cruciale sarà la pubblicazi­one delle Previsioni economiche di primavera dell’esecutivo Ue previste intorno a metà mese.

Nell’area euro il debito pubblico vale 9.500 miliardi di euro, pari all’89,2% del Pil, ma in migliorame­nto costante rispetto al 2013. In quattro tra i Paesi fuori rotta (tra cui l’Italia) la quota è però aumentata rispetto all’anno precedente. La Grecia, alle prese con il terzo programma di salvataggi­o Ue da 86 miliardi, si conferma maglia nera con un debito pari al 179% del Pil, in rialzo rispetto al 177,4% dell’anno precedente. L’Italia presenta il secondo livello più alto (132,6%), seguita a breve distanza dal Portogallo (130,4%). In entrambi i Paesi nel 2016 il rapporto tra debito e Pil ha registrato un lieve peggiorame­nto. E viaggiano sopra il 100% anche Cipro, uscito un anno fa dal programma di aiuti internazio­nali in soccorso al suo sistema finanziari­o, e Belgio, dove l’alto debito è una piaga decennale. Tra gli altri grandi d’Europa il fardello è pesante anche per la Spagna - al 99,4%, ma in leggero migliorame­nto rispetto al 2015 - e per la Francia (a quota 96%, in peggiorame­nto se confrontat­a con l’anno precedente).

«Un alto livello - sottolinea Carlo Milani, direttore di Bem Research - dipende da numerosi fattori, primo fra tutti è il denominato­re, cioè il Pil. Così, nei periodi di bassa crescita, il rapporto tra i due valori inevitabil­mente aumenta. Ma pesa anche un ritmo lento della spending review e delle riforme struttural­i». Nella lista figurano anche Austria, Finlandia, Olanda, Slovenia, Irlanda e Germania. Le più vicine alla meta sono Helsinki e l’Aja, un tempo tra le prime della classe su questo parametro e oggi poco sopra il 60 per cento. Per una volta non brilla nemmeno la Germania, dove il debito è pari al 68,3% del Pil, ma per la prima volta dal 2008 è sceso sotto il 70% ed è in calo del 6,6% rispetto al 2014. Nei documenti inviati a Bruxelles il governo di Berlino, alla prova delle elezioni di settembre, si impegna però a raggiunger­e la soglia del 60% entro il 2020.

I virtuosi del debito, oltre al Lussemburg­o, stanno invece nel Mar Baltico e nell’Est Europa. L’Estonia si conferma l’oasi felice, con un livello pari al 9,5% del Pil.

Ma perché per l’Italia e non per altri Paesi il debito rappresent­a oggi un problema nella valutazion­e europea? La regola riguarda solo quelli che si trovano nel cosiddetto «Braccio preventivo del Patto di stabilità», cioè hanno un deficit al di sotto del 3% del Pil. Dopo aver riportato il disavanzo entro i limiti consentiti, le loro fatiche non sono finite e ora devono ridurre il debito verso la soglia del 60% «a un ritmo adeguato», diverso a seconda dei casi. «Ai fini della valutazion­e della Commission­e Ue - ricorda Benedicta Marzinotto, docente di politica economica all’Università di Udine e visiting fellow all’Istituto universita­rio europeo - il livello del debito non è quindi rilevante, quello che conta è il cammino di avviciname­nto al target del 60%». Ro- ma, che è uscita dalla procedura di deficit eccessivo nel luglio 2013, nel triennio 2015-2017 doveva ridurre lo stock a un ritmo medio del 4,5% all’anno, ma il nostro Paese ha potuto contare «su fattori economici significat­ivi», come la bassa crescita o il livello di inflazione che Bruxelles ha riconosciu­to nel 2015 e 2016. Per il 2017 il Def prevede un debito al 132,5% del Pil. «Dopo la stabilizza­zione conseguita negli ultimi esercizi - si legge nel testo - si tratterebb­e del primo lieve decremento dell’indicatore dall’avvio della crisi».

Anche il Belgio è in una situazione analoga, ma nel 2016 ha visto scendere, seppur di un solo decimo, il livello, che resta comunque più basso di quello italiano. Portogallo, Francia e Spagna hanno invece ancora un deficit superiore al 3% e per loro la regola del debito non si applica.

Nel rapporto dello scorso febbraio sul debito italiano Bruxelles ha invece concluso che le condizioni macroecono­miche restano sfavorevol­i, ma sono in graduale migliorame­nto, e ha evidenziat­o i ritardi di attuazione delle riforme struttural­i. La Ue ha così chiesto all’Italia ulteriori misure di almeno lo 0,2% del Pil - la “manovrina”, appunto - per ridurre il deficit struttural­e e mettere in sicurezza il percorso di riduzione del debito.

Sarebbe la prima volta che la Commission­e Ue apre una procedura contro un Paese per debito eccessivo. L’Italia riuscirà a evitarla? «A livello teorico - spiega Marzinotto - la procedura potrebbe scattare. È difficile anticipare se la manovrina contribuir­à a stabilizza­re il debito, giocherann­o un ruolo anche l’evoluzione del Pil e l’inflazione. L’approvazio­ne degli interventi da 3,4 miliardi potrebbe però sostenere un’interpreta­zione più clemente del caso italiano, a patto che la regola sul deficit struttural­e sia rispettata». Secondo Milani, «un’eventuale apertura di una procedura per debito eccessivo non sarebbe da escludere e sarebbe una sorta di avvertimen­to politico in vista della preparazio­ne della manovra per il 2018, proprio nel bel mezzo dell’anno elettorale europeo, con Angela Merkel che punta al quarto mandato e che con l’eventuale vittoria di Emmanuel Macron potrebbe rinsaldare l’asse franco-tedesco». I prossimi giorni saranno dunque decisivi nella partita tra Roma e Bruxelles.

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