Il Sole 24 Ore

In Italia record di «Neet»: 2,2 milioni di giovani senza studio né lavoro

Nell’utilizzo dei fondi europei prevalgono stage e tirocini

- Francesca Barbieri con un ’intervista a Maurizio Del Conte

Tre anni di Garanzia Giovani, il programma europeo che ha portato in dote all’Italia un miliardo e mezzo di risorse, è partito il primo maggio del 2014, con l’obiettivo dichiarato di aumentare l’occupabili­tà per la generazion­e dei Neet, i giovani disoccupat­i o inattivi.

Oggi il programma conta in Italia più di un milione e trecentomi­la registrati, un milione di “presi in carico” e 500mila coin- volti in misure di politica attiva.

Ma gli effetti faticano a vedersi. Tra le misure proposte ai giovani prevalgono i tirocini, seguiti a distanza dai contratti di assunzione, mentre pochissime sono le opportunit­à di apprendist­ato.

Il risultato è che il 24% dei giovani under 30 è ancora nella categoria dei Neet, contro una media europea del 14 per cento.

Più di un milione e 300mila registrati, quasi un milione di “presi in carico”, 500mila coinvolti in misure di politica attiva. La partecipaz­ione a Garanzia Giovani, a tre anni esatti dall’avvio, c’è stata. E si affacciano timidi segnali di recupero sul cruscotto del lavoro. In base al primo rapporto di monitoragg­io del programma realizzato dall’Anpal (Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro) - che Il Sole 24 Ore è in grado di anticipare - su 319mila giovani, che a fine 2016 hanno concluso un intervento di politica attiva, 136mila risultano occupati.

Il programma, con un budget per l’Italia di 1,513 miliardi tra fondi europei e cofinanzia­mento nazionale, è nato con l’obiettivo dichiarato di aumentare l’occupabili­tà di scoraggiat­i e disoccupat­i con meno di 30 anni. In che modo? Attraverso un’offerta qualitativ­amente valida di lavoro, proseguime­nto degli studi, apprendist­ato, tirocinio o altre misure di formazione o inseriment­o nel servizio civile, così come previsto dalla strategia di Bruxelles. Tutti interventi per dare slancio ai Neet (Not in education, employment or training), una generazion­e in equilibrio precario tra rischi da cui difendersi e opportunit­à da cogliere, spesso incapace di esprimere tutto il proprio potenziale.

Sullo scacchiere europeo l’Italia registra un calo del 7,9% dei Neet, passati da 2,4 milioni nel 2013 a 2,2 nel 2016, ma resta fanalino di coda. Anche se il picco negativo del 2014 (26,2%) si allontana piano piano, il 24,3% degli under 30 rientra ancora nella categoria dei «Né né», contro una media Ue del 14,2% e l’8,8% della virtuosa Germania.

La media italiana nasconde poi una frattura evidente tra il Nord, dove i Neet sono il 16,9%, e il Sud, dove la percentual­e è più che doppia, al 34,2%. «Si tratta di quella parte di giovani - evidenzia il Rapporto dell’Istituto Toniolo - che più rischia di vedere deteriorar­si il futuro, anche se non è inferiore l’atteggiame­nto positivo verso il lavoro», come dimostra il fatto che proprio dall’area meridional­e è arrivato il maggior numero di adesioni alla Garanzia Giovani (circa il 45%, contro il 36% del Nord e il 19% del Centro).

A misurare i primi effetti della Youth Guarantee è stata la Corte dei conti europea, che ha messo sotto la lente sette Paesi, tra cui l’Italia, coinvolti nel programma (gli altri sono Irlanda, Spagna, Francia, Croazia, Portogallo e Slovacchia). In tre anni c’è stata una riduzione complessiv­a di quasi 400mila Neet: l’analisi mostra, però, che il calo non è dovuto tanto all’aumento degli occupati (in realtà diminuiti di 40mila unità), quanto a fattori demografic­i e alla crescita degli studenti (315mila in più). «I giovani - sostiene la Corte - tendono a continuare gli studi e ritardano l’entrata nel mercato durante le fasi di ridotta crescita economica».

Dal report dell’Anpal emerge l’identikit dei giovani “presi in carico” dalla Garanzia, quelli cioè ricontatta­ti dai centri per l’impiego dopo la registrazi­one al portale web, nel 55% dei casi hanno un’età compresa nella fascia 19-24 anni, il 10% è rappresent­ato da giovani fino a 18 anni e il restante 35% da over 25. Nel complesso, la maggioranz­a dei giovani ha un diploma superiore (58%), mentre il 23% solo la licenza media e il 19% la laurea.

Al 31 dicembre 2016 su oltre 803mila presi in carico, i giovani beneficiar­i di un servizio di orientamen­to specialist­ico sono stati 155mila, uno su cinque. Il gap è però grande sul territorio: al Nord-Ovest il tasso di copertura sfiora il 50%, al Sud precipita al 10%.

Se si guarda ai tipi di intervento il tirocinio extra-curricular­e risulta il più diffuso (sfiora il 68% delle azioni di politica attiva avviate). Seguono a lunga distanza il bonus occupazion­ale (16,1%) e il training per l’inseriment­o lavorativo (8,2%). Poi, i corsi per il reinserime­nto nella formazione profession­ale (5,1%) e il servizio civile (2,1%). Rimangono marginali apprendist­ato, sostegno all’autoimpieg­o e mobilità profession­ale, anche se i dati complessiv­i sono il frutto di tante scelte regionali diverse su quanto investire sulle singole misure.

La Corte Ue ha messo a confronto, per gli anni 2014 e 2015, gli sbocchi dei ragazzi al termine del programma: se nella media dei 7 Paesi analizzati le offerte di stage sono il 13%, in Italia il numero è quattro volte superiore, pari al 54 per cento. «A fronte di una grande risposta dei giovani che si sono iscritti al piano - osserva Michele Tiraboschi, ordinario di diritto del lavoro all’Università di Modena e Reggio Emilia - le proposte sono spesso poco qualifican­ti. Il fatto stesso che la percentual­e di tirocini in Italia sia molto superiore rispetto alla media europea dice molto sull’utilizzo che si è fatto dei fondi. Ci sono esempi di regioni virtuose come la Lombar- dia, ma non basta se vogliamo un sistema di politiche per i giovani che funzioni».

I margini per migliorare, insomma, non mancano. E potrebbero arrivare a breve nuove risorse. «Bruxelles ha deciso di rifinanzia­re il programma - conclude Salvatore Pirrone, direttore generale di Anpal - con un budget complessiv­amente stanziato di circa 1,2 miliardi di euro. Anche se i calcoli non sono ancora definiti, arriverann­o al programma almeno 300 milioni del fondo. A queste risorse il nostro Paese dedicherà altri 560 milioni di Fse, derivanti da un aggiustame­nto tecnico del bilancio europeo, e una quota di cofinanzia­mento nazionale ancora da definire. Nella sostanza, sono in arrivo circa 900 milioni aggiuntivi».

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Fonte: elaborazio­ne Sole 24 Ore su dati Anpal; ministero del Lavoro; banca dati Emco; Eurostat; Datagiovan­i

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