Il Sole 24 Ore

Arriva il registro online sulle risposte degli uffici

In arrivo la direttiva per gestire in ogni ente il «contatore» delle risposte alle richieste di accesso

- Trovati e Uva u con un Focus di Giuliano Fonderico

Per il «Freedom of Informatio­n Act» italiano è in arrivo, con una direttiva della Funzione pubblica, una pagella che ogni ente dovrà esporre sul proprio sito per mostrare quante richieste di informazio­ni ha ricevuto, quante risposte ha fornito. Intanto una verifica condotta dal Sole 24 Ore sui Comuni maggiori evidenzia un buon grado di adeguament­o ma con qualche assenza di troppo.

Per il «Freedom of Informatio­n Act» all’italiana arriva il momento della pagella, un ruolino di marcia informatic­o che ogni ente dovrà pubblicare sul proprio sito per mostrare quante richieste di informazio­ni ha ricevuto, quante risposte ha fornito e quante volte, e perché, ha deciso di non rispondere. Le istruzioni per l’uso di questo «registro degli accessi», previsto anche dalle linee guida dell’Anac sull’attuazione del capitolo che la riforma della Pa dedica alla «trasparenz­a generalizz­ata», saranno uno dei piatti forti della direttiva che la Funzione pubblica sta per indirizzar­e a tutte le amministra­zioni con i chiariment­i operativi per l’attuazione del Foia.

La direttiva sarà prima di tutto l’occasione per provare a guidare le Pa ad attuare una delle norme-manifesto della delega Madia, quella che introduce anche da noi il diritto di accesso generalizz­ato sul modello inglese. La differenza rispetto al diritto “storico” scritto nella legge 241 del 1990 è nel ribaltamen­to di prospettiv­a. Secondo le vecchie regole aveva diritto di chiedere informazio­ni alla Pa chi avesse un «interesse legittimo» sul tema (per esempio, un consiglier­e comunale per esercitare le proprie funzioni o un’impresa esclusa da un bando di gara); oggi, al contrario, il diritto è la regola e il diniego è l’eccezione, che va motivata con ragioni forti come sicurezza pubblica, stabilità finanziari­a dello Stato, segretezza delle indagini o della corrispond­enza. In uno scenario così, non può trovare ovviamente spazio il silenziori­fiuto e nemmeno la richiesta di una tariffa per le risposte (le diverse ipotesi iniziali sono state cancellate anche dopo il confronto con le associazio­ni promotrici della trasparenz­a come Foia4Italy).

Un cambio di prospettiv­a di questo tipo, soprattutt­o per una Pa sonnacchio­sa come la nostra, è più facile a dirsi che a farsi, ma i numeri dei primi tre mesi di applicazio­ne delle nuove regole (entrate in vigore all’antivigili­a del Natale scorso) offrono qual- che spunto importante. Numeri non enormi, perché anche cittadini e imprese devono abituarsi al nuovo diritto, ma indicativi. Ai ministeri e al resto della Pa centrale, per esempio, secondo il monitoragg­io della Funzione pubblica sono arrivate 205 richieste di informazio­ni, e solo una su sei è stata respinta. L’ampia maggioranz­a è stata accolta (55%) o è in lavorazion­e perché arrivata appena prima del monitoragg­io (gli uffici hanno tempo 30 giorni, tassativi). Il ministero dell’Interno, per esempio, ha fornito l’elenco completo dei centri di prima accoglienz­a nei Comuni e la lista dei rimpatri di migranti effettuati nel 2016; la Presidenza del Consiglio ha mostrato il catalogo dei regali che valgono più di 300 euro e delle restituzio­ni, mentre il dipartimen­to per l’informazio­ne ha messo in chiaro i contratti siglati fra Palazzo Chigi ed editori negli ultimi due anni.

Quando ci si allontana dal centro, però, il quadro cambia. I primi dati sono stati offerti qualche settimana fa da un dossier di «Diritto di sapere», una Ong nata per promuovere il diritto di accesso. I volontari hanno bussato alle porte di Asl, Regioni, enti locali, prefetture, società partecipat­e e così via, oltre che dei ministeri, presentand­o richieste soprattutt­o su sanità (48%), spesa pubblica (18%) e migranti (15%), ma al 73% delle domande ha risposto solo il silenzio. Anche il dossier di Diritto di sapere, però, indica «una speranza di migliorame­nto», basata sul fatto che una parte delle richieste respinte con le vecchie regole sono state accolte con le nuove.

Per aiutare le amministra­zioni a passare ai fatti arriva quindi la nuova direttiva, che punta su organizzaz­ione, responsabi­lità e sanzioni. Sul primo versante, ribadito il fatto che le richieste di informazio­ni non possono essere dichiarate inammissib­ili per ragioni formali, si spiega che le domande generiche vanno corrette dialogando con l’utente per arrivare all’identifica­zione dei documenti in gioco. La decisione sulla risposta spetta prima di tutto all’ufficio che detiene i dati e tocca alla Pa e non all’utente indirizzar­e la domanda alla porta giusta. Il responsabi­le anticorruz­ione è chiamato a creare una sorta di help desk per aiutare la gestione delle pratiche, anche perché la mancata risposta entro 30 giorni, sottolinea la direttiva, può alimentare cause di responsabi­lità dirigenzia­le, incidere sulla valutazion­e (e quindi, se il sistema funziona, sulla busta paga dei dirigenti) e addirittur­a responsabi­lità per danno all’immagine davanti alla Corte dei conti.

DUE LIVELLI Nei primi tre mesi i ministeri hanno respinto solo il 15% delle domande, ma negli enti territoria­li il quadro è più complicato

LE ISTRUZIONI Vietato negare i dati per ragioni formali Responsabi­lità dirigenzia­le e danno d’immagine a carico di chi ignora le richieste

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