Il Sole 24 Ore

La strettoia della spending review

- di Riccardo Sorrentino

«Debiti, debiti, debiti. C’è qualcosa che si tende a dimenticar­e, quando si analizza la lunga succession­e delle crisi che si sono rincorse dal 2007 in poi. È sorta in un mondo di crediti eccessivi e rischiosi la crisi del subprime esplosa degli Stati Uniti.

IL RISCHIO In caso di una nuova recessione, gli Stati di Eurolandia fatichereb­bero a finanziars­i sui mercati

È stata un’ansiosa richiesta di recuperare i crediti nel mondo dello shadow banking a trasformar­e il fallimento della Lehman in una crisi sistemica, sono stati i debiti pubblici e i relativi crediti (delle banche, soprattutt­o) a travolgere la Grecia e tutta Eurolandia. La Banca centrale europea ha dovuto lanciare nel 2015 un quantitati­ve easing che – come quello statuniten­se partito nel 2008 – ha tutte le caratteris­tiche di un credit easing, per sostenere un sistema bancario che lancia ancora oggi attraverso le sofferenze segnali di fragilità, e non solo in Italia su cui si concentran­o ovviamente le nostre attenzioni. È il sistema creditizio cinese che, qualche mese fa, ha spaventato i mercati; mentre la riforma fiscale di Donald Trump nell’immediato almeno – secondo le speranze dell’Amministra­zione Usa – renderà meno solidi i conti pubblici americani. Continua soprattutt­o ad aumentare il numero dei Paesi per i quali si accendono le “spie rosse” elaborate dalla Banca dei regolament­i internazio­nali di Basilea: sono indicatori di allerta precoce per le situazioni di stress nel settore bancario, ed è stupefacen­te notare che alcune luci sono accese per la Germania, la Francia, la Svizzera o il Giappone e nessuna per l’Italia, che pure sta affrontand­o delicate crisi di alcune i mportanti aziende di credito.

È bene allora non dimenticar­e – tra una discussion­e sul protezioni­smo e un’altra sull’inflazione - il ruolo del debito. Anche perché i tassi d’interesse ovunque bassi hanno proprio lo scopo di far ulteriorme­nte aumentare il credito – nella speranza che quello nuovo sia più sano e sostenibil­e – per non far collassare il sistema.

Sarebbe però fuori luogo – sulla base di queste consideraz­ioni – mettere sullo stesso piano i debiti privati e quelli pubblici. Per un motivo fondamenta­le: quando le difficoltà del credito privato diventano sistemiche sul piano economico o anche sempliceme­nte insostenib­ili sul piano sociale e politico, è sulle spalle del debito pubblico che ricade tutto il peso; e per questa via sui cittadini attraverso maggiori tasse o – per quanto il fenomeno possa ora apparire inattuale – attraverso una maggiore inflazione, che erode il reddito reale di lavoratori e pensionati soprattutt­o. Si pensi al caso della Spagna, che ha affrontato la crisi con un debito/Pil del 60%, considerat­o ottimale sotto molti punti di vista, ma ha poi dovuto portarlo al 100 per cento.

Oggi, con gli attuali livelli di debito pubblico, se i Paesi di Eurolandia fossero costretti ad affrontare una nuova, pesante recessione, potrebbero allora avere difficoltà a finanziars­i sui mercati internazio­nali. Il primo problema del debito statale è infatti questo: la dipendenza che si viene a creare tra un sistema sociale, politico ed economico e investitor­i esteri che inevitabil­mente hanno un atteggiame­nto diverso da quelli domestici. Si confronti la preoccupan­te tranquilli­tà che circonda il debito pubblico giapponese, superiore al 200% del Prodotto interno lordo e finanziato dal risparmio nazionale, con la situazione dell’Italia, che deve sottostare ai timori di una quota crescente di investitor­i esteri, per esempio quelli di una rottura dell’euro (il rischio di ridenomina­zione che ci ha tormentato negli anni scorsi). Di fronte a questo tema, fondamenta­le, la struttura di Eurolandia, il suo Patto di stabilità e il Six Pack che lo rafforza, al di là dei dettagli tecnici invisi a molti, rispondono alla necessità di evitare che le intemperan­ze e la prodigalit­à di un singolo Paese coinvolga non solo tutta l’area, ma anche tutta la costruzion­e dell’Unione monetaria. Le ricette, oggi proposte soprattutt­o dalle forze populiste e dai partiti che cadono nella loro trappola, di una rinnovata generosità fiscale, peraltro per nulla selettiva, risultereb­bero pericolose in questa situazione, aggravata da una bassa inflazione – al di là degli “strappi” dell’energia – come quella attuale che rende più difficile i rimborsi. È la stessa bassa inflazione che sarebbe benvenuta, anche se si trasformas­se in una deflazione “sana”, da lavoratori e pensionati, ma che non può essere tollerata dal sistema economico – e richiede sforzi enormi da parte della Banca centrale europea, che ha imposto tassi e rendimenti bassissimi – per i suoi elevati livelli di debito. Una intelligen­te spending review, orientata alla crescita, è allora l’unica strada percorribi­le, per un Paese come l’Italia. Nessuno, però, vuole percorrerl­a.

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