La strettoia della spending review
«Debiti, debiti, debiti. C’è qualcosa che si tende a dimenticare, quando si analizza la lunga successione delle crisi che si sono rincorse dal 2007 in poi. È sorta in un mondo di crediti eccessivi e rischiosi la crisi del subprime esplosa degli Stati Uniti.
IL RISCHIO In caso di una nuova recessione, gli Stati di Eurolandia faticherebbero a finanziarsi sui mercati
È stata un’ansiosa richiesta di recuperare i crediti nel mondo dello shadow banking a trasformare il fallimento della Lehman in una crisi sistemica, sono stati i debiti pubblici e i relativi crediti (delle banche, soprattutto) a travolgere la Grecia e tutta Eurolandia. La Banca centrale europea ha dovuto lanciare nel 2015 un quantitative easing che – come quello statunitense partito nel 2008 – ha tutte le caratteristiche di un credit easing, per sostenere un sistema bancario che lancia ancora oggi attraverso le sofferenze segnali di fragilità, e non solo in Italia su cui si concentrano ovviamente le nostre attenzioni. È il sistema creditizio cinese che, qualche mese fa, ha spaventato i mercati; mentre la riforma fiscale di Donald Trump nell’immediato almeno – secondo le speranze dell’Amministrazione Usa – renderà meno solidi i conti pubblici americani. Continua soprattutto ad aumentare il numero dei Paesi per i quali si accendono le “spie rosse” elaborate dalla Banca dei regolamenti internazionali di Basilea: sono indicatori di allerta precoce per le situazioni di stress nel settore bancario, ed è stupefacente notare che alcune luci sono accese per la Germania, la Francia, la Svizzera o il Giappone e nessuna per l’Italia, che pure sta affrontando delicate crisi di alcune i mportanti aziende di credito.
È bene allora non dimenticare – tra una discussione sul protezionismo e un’altra sull’inflazione - il ruolo del debito. Anche perché i tassi d’interesse ovunque bassi hanno proprio lo scopo di far ulteriormente aumentare il credito – nella speranza che quello nuovo sia più sano e sostenibile – per non far collassare il sistema.
Sarebbe però fuori luogo – sulla base di queste considerazioni – mettere sullo stesso piano i debiti privati e quelli pubblici. Per un motivo fondamentale: quando le difficoltà del credito privato diventano sistemiche sul piano economico o anche semplicemente insostenibili sul piano sociale e politico, è sulle spalle del debito pubblico che ricade tutto il peso; e per questa via sui cittadini attraverso maggiori tasse o – per quanto il fenomeno possa ora apparire inattuale – attraverso una maggiore inflazione, che erode il reddito reale di lavoratori e pensionati soprattutto. Si pensi al caso della Spagna, che ha affrontato la crisi con un debito/Pil del 60%, considerato ottimale sotto molti punti di vista, ma ha poi dovuto portarlo al 100 per cento.
Oggi, con gli attuali livelli di debito pubblico, se i Paesi di Eurolandia fossero costretti ad affrontare una nuova, pesante recessione, potrebbero allora avere difficoltà a finanziarsi sui mercati internazionali. Il primo problema del debito statale è infatti questo: la dipendenza che si viene a creare tra un sistema sociale, politico ed economico e investitori esteri che inevitabilmente hanno un atteggiamento diverso da quelli domestici. Si confronti la preoccupante tranquillità che circonda il debito pubblico giapponese, superiore al 200% del Prodotto interno lordo e finanziato dal risparmio nazionale, con la situazione dell’Italia, che deve sottostare ai timori di una quota crescente di investitori esteri, per esempio quelli di una rottura dell’euro (il rischio di ridenominazione che ci ha tormentato negli anni scorsi). Di fronte a questo tema, fondamentale, la struttura di Eurolandia, il suo Patto di stabilità e il Six Pack che lo rafforza, al di là dei dettagli tecnici invisi a molti, rispondono alla necessità di evitare che le intemperanze e la prodigalità di un singolo Paese coinvolga non solo tutta l’area, ma anche tutta la costruzione dell’Unione monetaria. Le ricette, oggi proposte soprattutto dalle forze populiste e dai partiti che cadono nella loro trappola, di una rinnovata generosità fiscale, peraltro per nulla selettiva, risulterebbero pericolose in questa situazione, aggravata da una bassa inflazione – al di là degli “strappi” dell’energia – come quella attuale che rende più difficile i rimborsi. È la stessa bassa inflazione che sarebbe benvenuta, anche se si trasformasse in una deflazione “sana”, da lavoratori e pensionati, ma che non può essere tollerata dal sistema economico – e richiede sforzi enormi da parte della Banca centrale europea, che ha imposto tassi e rendimenti bassissimi – per i suoi elevati livelli di debito. Una intelligente spending review, orientata alla crescita, è allora l’unica strada percorribile, per un Paese come l’Italia. Nessuno, però, vuole percorrerla.