Il recupero dell’investimento decide i tempi delle concessioni
enti locali possono sostenere con più risorse le gestioni di opere e servizi affidate con concessioni, ma devono fare attenzione alle condizioni che consentono una durata di medio-lungo periodo quando il rapporto supera i cinque anni.
Il decreto correttivo del Codice appalti ha ritoccato molti punti della disciplina delle concessioni, nel tentativo di eliminare alcune rigidità della normativa, per rendere più appetibile per i privati lo strumento.
Le nuove disposizioni hanno elevato il limite del contributo eventualmente corrisposto da una pubblica amministrazione per sostenere l’equilibrio economico-finanziario di una concessione, aumentando la quota sostenibile dalla parte pubblica al 49% del costo dell’investimento complessivo, comprensivo di eventuali oneri finanziari.
L’articolo 165 evidenzia la necessaria allocazione del rischio operativo in capo al concessionario, ma modifica alcune condizioni particolari stabilendo che, se mutano per cause non riconducibili al soggetto gestore le condizioni di riferimento e non c’è accordo sul riequilibrio del piano economico finanziario, le parti possono recedere dal contratto, e in tal caso al concessionario sono rimborsati gli importi del valore delle opere realizzate più gli oneri accessori (al netto degli ammortamenti) o, in caso di collaudo non ancora avvenuto, i costi effettivamente sostenuti, le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione (esclusi gli oneri per lo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse).
Il quadro di sviluppo temporale della concessione ha ora un termine di riferimento stabilito in cinque anni (coerentemente con le previsioni della direttiva 23/2014): le amministrazioni possono quindi stabilire una durata massima oltre questo termine standard, ma che non potrà essere superiore al periodo di tempo necessario al recupero degli investimenti da parte del concessionario individuato, insieme a una remunerazione del capitale investito, tenuto conto degli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi contrattuali specifici come risultanti dal piano economico-finanziario.
L’implicazione operativa più rilevante in tal senso è determinata proprio dalla necessità di un piano investimenti e di un piano economico-finanziario molto articolati, nei quali dovranno essere evidenti gli elementi a sostengo della proiezione temporale della concessione superiore al termine massimo standard stabilito ora dall’articolo 168, comma 2 del Codice.
La maggiore responsabilizzazione delle amministrazioni sull’utilizzo delle concessioni è rilevabile anche dalle innovazioni inserite all’articolo 176, comma 4, sugli oneri per la parte pubblica in caso di suoi inadempimenti o di revoca per ragioni di interesse pubblico.
In questi casi, infatti, al concessionario spettano, tra i costi da sostenere in conseguenza della risoluzione, anche quelli derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso di interesse, e, se è stata superata la fase di collaudo, un indennizzo pari al 10 per cento del valore attuale dei ricavi risultanti dal piano economico finanziario allegato alla concessione per gli anni residui di gestione.
In tutti i casi di cessazione del rapporto concessorio diversi dalla risoluzione per inadempimento del concessionario, questo ha il diritto di proseguire nella gestione ordinaria dell’opera, incassando i ricavi da essa derivanti, sino all’effettivo pagamento delle somme di indennizzo dal soggetto subentrante (fatti salvi gli eventuali investimenti improcrastinabili individuati dall’amministrazione con le relative modalità di finanziamento).