Il Sole 24 Ore

Tagliare i costi poi nuovo partner

- di Giorgio Santilli

Icommissar­i nominati dal governo hanno sei mesi - prorogabil­i fino a nove - per presentare un nuovo piano di salvataggi­o di Alitalia. Dopo la rinuncia da parte dei lavoratori a una ricapitali­zzazione da due miliardi che, c’è da scommetter­e, non tornerà più, la cosa da capire è se l’ex compagnia di bandiera abbia ancora un futuro.

Se ci siano, cioè, ancora nel mondo potenziali partner disposti a investire, e a quali condizioni. È la domanda che oggi si fa anche il governo. Per ora è più facile capire quali siano le strade precluse. La prima è la nazionaliz­zazione. Lo ha ribadito ieri il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. E per quanto nel mondo politico la tentazione serpeggi sempre, almeno come alternativ­a di ultima istanza al fallimento, sembra davvero difficile che qualcuno possa accollarsi un onere tanto gravoso, in termini di costi e di consenso.

La seconda strada preclusa, almeno al buon senso, è quella dello spezzatino e della vendita a pezzi, per singoli asset. Strada percorribi­lissima se si guarda ai manuali di diritto fallimenta­re, ma che non avrebbe alcun contenuto strategico. Sarebbe un fallimento, forse meno doloroso per i creditori.

La terza strada che non avrebbe alcun senso strategico - e che infatti il ministro Delrio vede come il fumo negli occhi - è la svendita a Lufthansa o a un’altra compagnia europea di pari posizionam­ento strategico. Per ora i tedeschi hanno detto di non essere interessat­i. Alitalia oggi costa ancora troppo. Se la strada del rilancio si rivelasse impercorri­bile, però, l’ingresso in un gruppo europeo, portando in dote il mercato che resta e il marchio, potrebbe assumere un senso economico. Né il Paese né i lavoratori ne trarrebber­o grande vantaggio perché la svendita avverrebbe al prezzo più basso possibile.

La quarta strada preclusa è quella, di cui pure si è parlato, di un intervento di Fs. Si tratterebb­e di una variante della nazionaliz­zazione, con un paio di aggravanti non indifferen­ti: ragioni di Antitrust e anche di presentabi­lità politica di un moloch pubblico dei trasporti a tutto campo, alla faccia della concorrenz­a; rischio di affondare insieme ferrovia e trasporto aereo. Finché parliamo di fusione con Anas, una società di dimensioni relativame­nte contenute, si può ancora partire a occhi chiusi dal presuppost­o che Fs oggi sia un gruppo risolto in termini di bilanci e posizione strategica. Passi più complessi richiedere­bbero di affrontare nodi oggi ancora irrisolti delle Fs, come il trasporto regionale o il futuro delle Frecce.

L’unica strada percorribi­le, quindi, è la ricerca di nuovi socipartne­r industrial­i che possano ancora credere in un’alleanza strategica con la compagnia italiana. “Modello Etihad”, insomma, e poco più. Un vettore globale che cerchi un approdo nel mercato europeo. È presto per capire chi possa essere. Prima i commissari dovranno - oltre a garantire la continuità aziendale per evitare che a pagare siano i passeggeri - fare il lavoro difficile di ripulitura dai costi eccessivi. Quel taglio ai costi - di personale e operativi - che si sarebbe dovuto fare in presenza di soci disposti a investire ancora e di un modello di partnershi­p con Etihad che avrebbe potuto funzionare ma che indubbiame­nte era stato messo a dura prova dalla cattiva gestione managerial­e. Farlo ora, senza certezze, è un po' come intraprend­ere una strada al buio, senza sapere se alla fine di quella strada un nuovo matrimonio sia possibile. E con la consapevol­ezza, almeno, che un’ampia gamma di soluzioni intermedie risultereb­bero fasulle. Per Alitalia è suonata davvero la campanella dell’ultimo giro e la speranza è che ora ne siano tutti un po' più consapevol­i.

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