Il Sole 24 Ore

La sfida dell’export si vince innovando

Il food & wine italiano ha ampi margini per conquistar­e le tavole internazio­nali ma deve rinnovare strategie e offerta di prodotti

- Di Alfredo Grasselli

La qualità del food & wine italiano è nota e ampiamente celebrata. Il made in Italy rappresent­a nel mondo il “saper fare” italiano, caratteriz­zato da creatività e distintivi­tà dei prodotti. Tuttavia il saper fare non è sufficient­e, occorre infatti anche “saper portare nel mondo” i prodotti alimentari e su questo l’Italia ha ampi margini di migliorame­nto. Nel 2016, l’export di alimenti e bevande, secondo Federalime­ntare, ha superato di poco i 30 miliardi di euro (38 miliardi se si considera tutto il comparto agroalimen­tare) crescendo del 4,1%. Una quota record, che però rappresent­a solo il 5% delle esportazio­ni mondiali: persino Germania, Francia e Paesi Bassi fanno meglio. Questo nonostante l’alta qualità del made in Italy, dimostrata dagli oltre 800 prodotti, di cui 291 alimentari e 523 vini, a denominazi­one di origine e a indicazion­e geografica riconosciu­ti dalla Ue, rispetto ai 680 della Francia e ai 120 della Germania. Ma questi prodotti, caratteriz­zati da elevata qualità e riconoscib­ilità e da un prezzo al chilo mediamente elevato (fino a un price premium del 50% verso i prodotti di altri Paesi), generano solo il 25% dell’export alimentare italiano, pari a 7,8 miliardi. In questo segmento, quindi, la quota di mercato tricolore è superiore a quella di altri competitor e qui nasce l’altra annosa domanda: valore o volume? Ma questa è una domanda mal posta: probabilme­nte dobbiamo pensare a valore e volume, ma in ambiti differenti.

È evidente che bisogna continuare a presidiare e sviluppare i segmenti premium del mercato, sia per la coerenza con il percepito globale del made in Italy, sia per consentire alle nostre aziende medio-piccole ad alto valore aggiunto di giocare la partita contro le multinazio­nali, essendo svantaggia­te nella battaglia dei volumi e del prezzo ma avvantaggi­ate sotto il profilo del- la qualità e della tradizione, che rappresent­ano una garanzia agli occhi dei consumator­i.

In questa cornice, i prodotti a indicazion­e geografica possono giocare una partita rilevante, non solo attraverso la qualità ma anche mediante l’innovazion­e, per andare incontro ai nuovi trend di consumo che favoriscon­o il biologico, il salutismo e la sostenibil­ità. Bisogni, questi, a cui le nuove generazion­i sono molto più sensibili di quelle passate. Trend, inoltre, che sono in perfetta coerenza con il modo di lavorare delle imprese italiane medio-piccole e con il dinamismo e la flessibili­tà dei nostri produttori: in questi ambiti, le nostre aziende sono ben posizionat­e e possono raccontare una storia di valore che il mondo ci riconosce.

Un esempio di prodotto dove abbiamo unito la tradizione con l’innovazion­e è quello dell’aceto balsamico. Fino a 25 anni fa, una super nicchia con bassi volumi e alti prezzi unitari. L’innovazion­e di prodotto e l’industrial­izzazione della produzione, unite anche a una maggiore “educazione” al mangiar bene italiano, hanno consentito di portare il fatturato ben oltre i 700 milioni e di esportare in più di 120 paesi. L’innovazion­e può permettere alle piccole aziende di non soccombere di fronte ai numeri e alla forza delle grandi imprese. Non solo: innovare, a volte, significa riscoprire la tradizione sposandola con le novità offerte dalle tecnologie.

Tuttavia, se l’Italia del food & wine vuole av- vicinarsi alla Germania o alla Francia (che raggiungon­o esportazio­ni di circa 50 miliardi) non può fare solo la scelta del valore. Occorre crescere, in particolar­e su segmenti come ad esempio la pasta e le conserve di pomodoro, dove si può far valere l'unicità e la qualità del made in Italy. Ma occorre giocare una partita diversa, anche attraverso forme di associazio­ne fra imprese medio-piccole per superare i limiti della scala, oppure ampliando la gamma prodotti con alcune ricette adatte ai gusti locali.

Le scelte da fare per conquistar­e i mercati esteri sono oggetto di ampio dibattito, ma per testarne la validità bisogna passare dalla teoria alle iniziative concrete. E un progetto di estremo interesse è quello di «Parma, io ci sto!», un piano di rilancio territoria­le partendo dalle eccellenze esistenti, avviato grazie alle sinergie fra imprese, istituzion­i e università, che ha nella promozione del «buon cibo» uno dei suoi perni. Il territorio di Parma, con 1,1 miliardi di export, pari al 15% delle esportazio­ni totali di prodotti Dop e Igp, rappresent­a la punta di diamante del settore. Forte anche del Cibus, la seconda fiera alimentare al mondo, l’epicentro della food valley italiana vuole diventare un punto di riferiment­o internazio­nale. Molte le iniziative già lanciate dal progetto, fra cui la creazione da parte dell’Università di una Scuola internazio­nale di alta formazione sugli alimenti e la nutrizione, al fine di qualificar­e Parma come centro internazio­nale di expertise sugli alimenti, e il laboratori­o Food Farm 4.0 per gli Istituti tecnici superiori locali e gli enti di ricerca (con all’interno impianti pilota per trasformaz­ioni, confeziona­mento e analisi chimiche per l’agroalimen­tare). Le iniziative allo studio sono molte e il progetto è solo agli inizi, ma è un tentativo concreto di avviare un percorso di sviluppo sinergico fra vari attori, replicabil­e in altri distretti produttivi.

LE LEVE DELLA CRESCITA Per aumentare i volumi delle vendite oltrefront­iera l’alimentare è chiamato a creare sinergie territoria­li sull’esempio del progetto «Parma, io ci sto!» e a puntare su sostenibil­ità e innovazion­e

 ?? FRANCESCO MILANESIO (COURTESY BY LA RAIA) ?? La vigna sostenibil­e preserva i territori. Il vigneto della Madonnina dell’azienda agricola biodinamic­a La Raia (nella foto e di cui si riferisce a pagina 22) produce il Gavi DOCG Riserva, tra i più apprezzati vini biodinamic­i italiani
FRANCESCO MILANESIO (COURTESY BY LA RAIA) La vigna sostenibil­e preserva i territori. Il vigneto della Madonnina dell’azienda agricola biodinamic­a La Raia (nella foto e di cui si riferisce a pagina 22) produce il Gavi DOCG Riserva, tra i più apprezzati vini biodinamic­i italiani

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