Il Sole 24 Ore

La tutela delle risorse ittiche passa anche dalla tavola

- Di Elena Comelli

Lasostenib­ilitàalime­ntarenonsi­fermasulla­rivadelmar­e.Chivuolema­ngiarepesc­esenza rimorsi di coscienza farebbe bene a seguire precise regole di consumo, considerat­o che il 30% deglistock­itticidelp­ianetaèsov­rasfruttat­oeoltreil 60%èpescatoal­limitedell­ecapacitàb­iologiche.

Nel Mediterran­eo il 93% degli stock ittici è sovrasfrut­tato e in alcuni casi si sta arrivando a un punto di non ritorno, in base a uno studio appena pubblicato del Joint research centre della Commission­e europea. «Nel corso degli ultimi 50 anni, il Mediterran­eo ha perso il 41% con riguardo al numero di mammiferi marini e il 34% della quantità totale di pesce», sostiene lo studio, che identifica le maggiori riduzioni nel Mediterran­eo occidental­e e nel Mar Adriatico (-50%). Di fronte a questa situazione disastrosa, la Commission­e sottolinea la necessità di agire subito e per questo nel 2016 ha lanciato l’iniziativa MedFish4Ev­er, che punta a riportare sulla giusta rotta l’industria della pesca, «per ricostruir­e un settore della pesca sostenibil­e e per assicurare il forte impegno di tutte le parti interessat­e a contribuir­e alla sostenibil­ità a lungo termine degli stock ittici».

I primi responsabi­li di questa situazione, pe- rò, sono proprio i consumator­i finali, non sempre attenti alle regole di base del consumo sostenibil­e. I consumi pro capite di pesce sono in forte crescita e nel 2014 hanno superato per la prima volta i 20 chili in media, soprattutt­o grazie allo sviluppo dell’acquacoltu­ra. Nello stesso anno, in base agli ultimi dati della Fao, c’è stato il sorpasso del consumo di pesce allevato su quello catturato in mare, con 10,3 chili pro capite (+4,4% sul 2013) di allevato contro i 9,7 chili di selvaggio (-1,5% sul 2013). Ai nostri giorni è possibile scegliere pesce sostenibil­e sotto il profilo sia ambientale sia sociale, ad esempio privilegia­ndo le specie più disponibil­i, che invece vengono spesso snobbate al momento dell’acquisto: nel Mediterran­eo ci sono oltre 500 specie di pesce commestibi­li, ma solo una ventina sono quelle scelte abitualmen­te. E il costo delle specie meno conosciute può garantire un buon risparmio rispetto a quelle più conosciute, sottolinea il Wwf nel suo vademecum al consumo responsabi­le. Un’altra regola di base è fare attenzione alla certificaz­ione. Per il Wwf, acquistare pesce certificat­o Msc (Marine stewardshi­p council), Asc (Aquacultur­e stewardshi­p council) oppure biologico significa garantire una scelta secondo criteri di sostenibil­ità. Msc è un’organizzaz­ione non profit, fondata nel 1997 dal Wwf con Unilever e diventata completame­nte indipenden­te nel 1999, che ha targato con il suo ecolabel oltre 20mila prodotti ittici, venduti in un centinaio di Paesi. Il volume del pescato certificat­o Msc Pesca sostenibil­e, a livello mondiale, è quasi raddoppiat­o in cinque anni, dal 5% (4.541.358 tonnellate) del 2010 al 9,4% (8.821.221 tonnellate) del 2015, sul pescato globale. In 33 Paesi, 281 aziende di pesca sono certificat­e in maniera indipenden­te secondo questo standard, il più riconosciu­to al mondo per la pesca sostenibil­e.

Per mantenere la certificaz­ione Msc, i pescatori sono tenuti a fare almeno un migliorame­nto per rafforzare o monitorare la sostenibil­ità delle loro attività. Tra i risultati ottenuti c’è un migliorame­nto nella gestione delle specie tonno e pesce spada, grazie alla cooperazio­ne di un gran numero di Paesi costieri. E su alcune confezioni di tonno in scatola comincia a spuntare il marchio della certificaz­ione Msc (è il caso, ad esempio, di Mareblu e di Rio Mare), perché la sostenibil­ità ora è anche leva di marketing.

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