Valentino Parlato, la vita intensa di un comunista «eretico»
«Il messaggio di comunista è un messaggio di progresso, il messaggio che bisogna sempre andare avanti. Abbiano iniziato nel 1789 con Liberté, Égalité, Fraternité e il comunismo è la lunga lotta per realizzare tutto questo. Bisogna sempre andare oltre le condizioni del progresso e il comunismo è la lunga lotta per migliorare queste condizioni».
Questo il comunismo per Valentino Parlato, morto ieri a 86 anni, così come lui stesso lo racconta nel documentario “Vita e avventure del Signor di Bric à Brac”, scritto e diretto dal figlio Matteo insieme a Marina Catucci e Roberto Salinas. Ed è in fondo questa concezione del comunismo, come lotta sempre in avanti per la libertà, che è alla base dell’«eresia comunista» (per usare un’espressione di Rossana Rossanda) che portò alla cacciata - radiazione, era il termine di allora - del gruppo del Manifesto dal Pci nel 1969. Un gruppo nato alla sinistra del Pci, certo, ma su posizioni di contestazione dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia che mise fine alla primavera di Praga di Alexander Dubcek. Non va dimenticato che lo stesso Pci allora guidato da Luigi Longo parlò di un «grave errore» a proposito dell’invasione di Praga ma - come ebbe modo di dire Luciana Castellina, poi rientrata nel Pci dopo la morte di Berlinguer - non ne trasse «le necessarie conseguenze». E così la cacciata del gruppo del Manifesto avvenne quando il secondo numero della rivista uscì con il titolo “Praga è sola”.
Il contesto di quell’”eresia” è dunque quello del dopo invasione della Cecoslovacchia, della nascita della contestazione studentesca nel mondo occidentale, delle lotte operaie condotte da un sindacato che non è più solo cinghia di trasmissione del partito. E se il movimento politico nato da quella esperienza si fermò con il risultato irrilevante alle elezioni del 1972, la storia giornalistica è andata ben oltre il Pci perdurando fino ad oggi.
Vicino a Pietro Ingrao (che nel suo libro autobiografico “Volevo la luna” definì molti anni dopo una «decisione assurda» la sua capitolazione alla linea del partito che decise la radiazione del gruppo), in pochi ricordano tuttavia che Parlato nacque amendoliano, dunque di destra nella geografia interna al Pci di allora. E dovendo battere cassa per il suo Manifesto, nato e rimasto «senza padroni», coltivò negli anni rapporti proficui con gran parte del mondo imprenditoriale, a cominciare dalla Fiat di Cesare Romiti. Uomo sempre contro, sempre battagliero e combattente senza mai perdere l’ironia, Parlato stesso descriveva questo suo lato in modo molto brillante nel documentario succitato: «I miei amici mi sfottono quando dicono “il fatto che qualcuno sia un delinquente e un imbroglione per te è già di per sé un fatto positivo”. Io dico che in questa società di merda il trasgressore, il ladro, l’imbroglione è dotato comunque di una capacità di andare controcorrente rispetto al conformista». Ecco, sempre contro fino all’irriverenza. O alla blasfemia, come quando un anno fa rese noto di aver votato per Virginia Raggi sindaco di Roma ammettendo «di aver tradito per la prima volta la sinistra, sperando che sia anche l’ultima». Ma è stato un tradimento passeggero, di quelli che si perdonano.
Meno di un mese fa Parlato, in un suo articolo per il Manifesto intitolato Cambio d’Epoca, riandava al suo comunismo: «Non possiamo non tener conto di quel che sta cambiando: dobbiamo studiarlo e sforzarci di capire, sarà un lungo lavoro e non mancheranno gli errori, ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà».