Il Sole 24 Ore

Venezuela senza exit strategy

Tre scenari drammatici: cronicizza­zione della crisi, colpo di Stato o dimissioni di Maduro

- Di Roberto Da Rin

In un Paese dove un litro di acqua minerale costa come un pieno di benzina, le distorsion­i sono molte: nella politica, nell’economia e nella società. La prima è questa: quando crolla il prezzo del petrolio, sui mercati internazio­nali delle commodity, le entrate in valuta estera si assottigli­ano e le tensioni si moltiplica­no.

Stavolta però il Venezuela di Nicolas Maduro è davvero in fiamme ed è difficile intraveder­e una via di uscita. Una trentina di morti in piazza negli ultimi dieci giorni, il sequestro di uno stabilimen­to della General Motors, un ipotetico default, l’incognita delle Forze Armate, l’80% della popolazion­e – secondo dati Caritas – in difficoltà economiche e alcuni leader dell’opposizion­e in carcere.

Dulcis in fundo un annuncio di Maduro durante il comizio del 1°maggio: un’Assemblea costituent­e del popolo, «per riformare la struttura giuridica dello Stato e portare la pace al nostro Paese». È questa l’ultima mossa del presidente in un Venezuela stremato e impaurito dalla crisi economica. «Non sto parlando di una Costituent­e dei partiti o delle élite, intendo dire una Costituent­e femminista, giovanile, studentesc­a, una Costituent­e indigena, ma anzitutto una Costituent­e profondame­nte operaia, decisament­e operaia che appartenga profondame­nte alle comunità».

Julio Borges, presidente del Parlamento e oppositore di Maduro, ha replicato con rabbia che questa iniziativa equivarreb­be a «una Costituent­e truffa, inventata solo per distrugger­e la Costituzio­ne attuale e cercare di fuggire così all’inesorabil­e verdetto delle elezioni» che il governo ha ritardato o sospeso da quando ha perso la maggioranz­a parlamenta­re nel dicembre del 2015.

Insomma quello attuale è un quadro inquietant­e da cui non si intravede nessuna exit strategy: due gli scenari possibili. «Il primo è quello di una cronicizza­zione della crisi che – secondo l’analista venezuelan­o Luis Vicente Leon, presidente di Datanalisi­s – avvicinere­bbe il Paese a un contesto simile a quello della Siria, del Perù o della Colombia». In altre parole una cri- si politica irrisolvib­ile le cui conseguenz­e si potrebbero estendere per lunghi anni.

Il secondo scenario è quello di un colpo di Stato o di una rinuncia spontanea del presidente Maduro. I conflitti politici generano violenza, superabile con accordi, negoziati e aperture di governo e opposizion­e; di tutto ciò, in Venezuela, per ora non c’è traccia.

Un populismo paradigmat­ico

Il Venezuela esprime – secondo un bel libro di Manuel Anselmi, “Populismo”, edito da Mondadori – un caso paradigmat­ico e, al tempo stesso, sui generis. Paradigmat­ico perché molte delle dinamiche, avviate dall’ex presidente Hugo Chavez, si sono poi riscontrat­e in altri Paesi latinoamer­icani. Sui generis perché lo sviluppo sociale istituzion­ale, la crisi sociale e politica lo hanno reso uno dei casi più radicali. L’esperienza chavista – spiega Anselmi – ha svolto una promozione di valori progressis­ti in una prospettiv­a di azione unitaria pan-sudamerica­na.

Gli analisti di orientamen­to liberale hanno criticato l’esperienza chavista e hanno definito il Venezuela una forma di soft-authoritar­ianism, più precisamen­te di hybrid regime. Ovvero una democrazia che ha perso i requisiti minimi ma che non può essere considerat­a un autoritari­smo conclamato. Altri analisti ricordano che il populismo venezuelan­o non può prescinder­e dalla lunga fase critica che lo ha preceduto. Tra la fine degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta la società venezuelan­a ha vissuto un progressiv­o processo di impoverime­nto e di decadenza, consistent­e in un aumento esponenzia­le della povertà, della criminalit­à e della polarizzaz­ione sociale dovuta alla drastica riduzione della classe media.

Mario Giro, viceminist­ro degli Esteri, non nasconde la sua preoccupaz­ione: «I venezuelan­i hanno fatto cadere la mediazione papale e oggi il quadro è davvero inquietant­e. Non abbiamo neppure ricevuto risposte alla nostra offerta di inviare medicine salvavita». E ancora: «Sono state chiuse varie ambasciate, quella italiana è una delle poche rimaste aperte».

Il rischio di un default

Il calo dei prezzi del petrolio (di cui il Paese è forte produttore) ha innescato una serie di problemati­che economico-finanziari­e. Una delle prime emergenze è l’inflazione, superiore al 500%, comunque difficile da quantifica­re per la difficoltà di reperire dati statistici. La gravità della crisi che si propaga dalla politica alle istituzion­i, dall’economia alla finanza, ormai mina il concetto di convivenza pacifica del Venezuela e induce a rievocare ciò che accadde in Argentina nel 2001: una situazione economica insostenib­ile e una crisi sociale incontenib­ile sfociarono in un default.

Tuttavia lo spettro del default, se non scongiurat­o, non è un’ipotesi probabile. Innanzitut­to un crack provochere­bbe una pericolosa instabilit­à a livello regionale.

Finora Maduro ha pagato tutte le cedole, pochi giorni fa ha effettuato il rimborso di 2,8 miliardi di dollari. Enzo Farulla, analista economico-finanziari­o indipenden­te con un passato alla Raymond James Financial, esperto di temi latinoamer­icani, ritiene poco probabile il default: «Se Maduro dovesse cadere nei prossimi mesi, verrà eletto un governo “market friendly” e quindi ci sarà un rifinanzia­mento del debito. Se invece la presidenza reggerà a questi scossoni, non si verificher­anno emergenze finanziari­e. Le scadenze sono infatti nei prossimi 18 mesi».

Non va dimenticat­o che il debito pubblico del Venezuela è modesto, vicino al 30 % del Pil (quello italiano è superiore al 130% del Pil); non solo: Cina e Russia sono alleate, politicame­nte e finanziari­amente del Venezuela. È questo il vero pericolo, uno scontro che travalichi i confini regionali e coinvolga le Grandi potenze. Gli Stati Uniti supportano l’opposizion­e, Cina e Russia il governo di Maduro. Ognuno vorrebbe controllar­e una “quota” di popolazion­e venezuelan­a. E del suo petrolio naturalmen­te.

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Mobilitazi­one Non si fermano le manifestaz­ioni di protesta contro il presidente Nicolas Maduro

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