Il Sole 24 Ore

Dai costi al peso delle rate, tutti i nodi per le Camere

i profili tecnici da rivedere in conversion­e

- di Andrea Carinci fiscalview@ilsole24or­e.com

La definizion­e agevolata delle controvers­ie tributarie, di cui al Dl 50/2017, era divenuta una misura improcrast­inabile. Troppe le pressioni in tal senso, tra esigenze di deflaziona­re in modo drastico il contenzios­o tributario e sollecitaz­ioni a rimediare alle falle della rottamazio­ne dei ruoli, tra cui proprio quella relativa alla pendenza della lite avente ad oggetto somme di cui solo una parte affidata ad Equitalia e, perciò, rottamabil­e. Sennonché il provvedime­nto presenta troppe criticità. Talune di ordine politico, che però potrebbero metterne a rischio il successo: così è per la scelta di prevedere poche rate, solo tre, per il pagamento delle somme dovute, come pure per quella di non distinguer­e in ragione dell’esito della lite nei gradi pregressi ovvero di imporre il pagamento del 40% delle somme nelle liti sulle sole sanzioni.

Vi sono però anche criticità di ordine tecnico, su cui sarebbe opportuno intervenir­e in sede di conversion­e. Il diniego alla definizion­e deve essere notificato entro il 31 luglio 2018; termine, questo, decadenzia­le, che scade un mese dopo l’ultima rata (30 giugno 2018). Ebbene, è chiaro che il diniego potrà investire solo l’ammissibil­ità dell’istanza, mentre nessun rilievo potrà assumere il mancato pagamento delle rate successive alla prima, posto che la definizion­e si perfeziona con il versamento della sola prima rata. L’impugnazio­ne del diniego va poi fatta dinanzi all’organo presso il quale pende la lite; questo però non sembra né legittimo né giustifica­to, perché nel caso in cui la lite penda dinanzi alla Commission­e regionale ciò significa prevedere un unico grado di merito, a fronte dei due consentiti nel caso in cui la lite penda dinanzi alla Commission­e tributaria provincial­e.

Un’altra criticità attiene alla previsione secondo cui è consentito promuovere l’impugnazio­ne del diniego unitamente con la sentenza di cui si è domandata la definizion­e. In questo caso, se viene accolta l’impugnazio­ne sul diniego, il giudice non dovrebbe pronunciar­si sulla sentenza impugnata, ma limitarsi a dichiarare l’intervenut­a cessazione della materia del contendere. Ma che succede se tale decisione viene cassata? Si deve ritenere che il giudice del rinvio venga investito anche dell’impugnazio­ne della sentenza di merito, sempreché sulla questione non sia sceso il giudicato? E cosa accade nell’ipotesi inversa, di rigetto dell’impugnazio­ne del diniego, ma di accoglimen­to di quella contro la sentenza? Qui il contribuen­te potrebbe non avere interesse a impugnare la sentenza sul diniego, avendo avuto ragione nel merito, salvo che non vi sia l’impugnazio­ne in Cassazione da parte dell’Ufficio, nel qual caso dovrebbe proporre un’impugnazio­ne incidental­e condiziona­ta. Con ogni evidenza, la soluzione più semplice sarebbe gestire il rapporto di pregiudizi­alità tra le diverse vicende con la sospension­e dei processi ex articolo 39 del Dlgs 546/1992.

Ad ogni modo è opportuno che in sede di conversion­e alcuni profili anche tecnici della disciplina siano rivisti, per evitare che quella che dovrebbe essere una misura deflattiva del contenzios­o finisca per innescarne altro, inutile quanto defatigant­e.

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