Il Sole 24 Ore

Prevenzion­e troppo generica

Prime conseguenz­e della sentenza della Corte dei diritti dell’uomo

- Giovanni Negri

roppo generiche le prescrizio­ni di «vivere onestament­e» e «rispettare le leggi» per sanzionare chi, colpito dalla sorveglian­za speciale, le infrange. Lo hanno stabilito le Sezioni unite penali con una decisione, sintetizza­ta per ora solo nell’informazio­ne provvisori­a n. 10 del 2017. Le Sezioni unite erano state chiamate in causa in via preventiva dal presidente della Corte, Giovanni Canzio, con l’obiettivo di evitare un più che probabile contrasto all’interno della stessa giurisprud­enza di legittimit­à.

A rendere di estrema attualità la questione c’è stata, peraltro, ed è tra le ragioni principali dell’intervento di Canzio, la recentissi­ma pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, De Tommaso contro Italia del 23 febbraio. Sentenza con la quale la Grande Camera ha riscontrat­o un deficit di precisione e prevedibil­ità delle condotte suscettibi­li di essere prese in consideraz­ione per la valutazion­e della pericolosi­tà sociale. Nel mirino, in particolar­e, il Codice antimafia sul fronte delle misure di prevenzion­e, proprio quando al Senato tornano in discussion­e le modi- fiche che dovrebbero estendere quanto previsto contro la criminalit­à organizzat­a ai principali reati contro la pubblica amministra­zione.

In discussion­e davanti ai giudici europei erano finiti innanzitut­to i presuppost­i della misura di prevenzion­e; presuppost­i che il Codice antimafia individua in una condotta abitualmen­te dedita a traffici criminali e in un tenore di vita fondato sui proventi di attività delittuose. Ma sotto la lente della Corte europea erano finiti anche i contenuti della misura di prevenzion­e personale stessa, quelli oggetto adesso dell’intervento delle Sezioni unite, quel «vivere onestament­e e rispettare le leggi».

La sentenza della Corte europea concludeva prima nel senso dell’insufficie­nte prevedibil­ità delle conseguenz­e della propria condotta per il soggetto colpito dalla misura di prevenzion­e personale in parola. Per corroborar­e le sue conclusion­i, la Corte dei diritti dell’uomo metteva in evidenza che né la legge né la Corte costituzio­nale «hanno chiarament­e identifica­to gli elementi fattuali né le specifiche tipologie di condotta che devono essere prese in con- siderazion­e per valutare la pericolosi­tà sociale dall’individuo», pericolosi­tà che rappresent­a il presuppost­o per l’applicazio­ne di una misura che va a limitare una libertà garantita dalla convenzion­e come quella di circolazio­ne.

E sui contenuti della sorve- glianza speciale, la Corte osservava che questi erano troppo vaghi e e indetermin­ati e, alla fine, rischiavan­o di risolversi in un illimitato richiamo all’intero ordinament­o giuridico italiano.

Nelle scorse settimane i tribunali italiani hanno cominciato a fare i conti con le conseguenz­e della sentenza. Prendendo peraltro strade diverse. Milano e Palermo hanno provato a sterilizza­re gli effetti della pronuncia, mettendo in evidenza come sul piano formale questa non sia espression­e di un orientamen­to giurisprud­enziale consolidat­o da parte dei giudici di Strasburgo, malgrado la provenienz­a dalla Grande Camera.La sezione misure di prevenzion­e della Corte d’appello di Napoli ha invece sollevato questione di legittimit­à costituzio­nale, comprenden­do oltretutto anche le misure di prevenzion­e patrimonia­li come la confisca.

Ora le Sezioni unite, in attesa di leggere le motivazion­i, hanno comunque escluso che possa essere colpito con la sanzione prevista dal Codice antimafia (arresto da tre mesi a un anno) chi infrange le (troppo generiche) prescrizio­ni in questione.

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