Il Sole 24 Ore

Se la politica riscrive la finanza

- di Alessandro Plateroti

La scalata cinese ai vertici del commercio, della finanza e dell’industria mondiale ha avuto ieri due momenti apicali. Uno in Europa, dove il colosso di Hna Capital è diventato a sorpresa il primo azionista di Deutsche Bank, l’altro a Hong Kong, dove la conglomera­ta Tencent è diventata la prima società cinese ad aver superato in Borsa i 300 miliardi di capitalizz­azione, un traguardo a cui ancora ambisce persino un colosso della new economy come Alibaba: grazie agli investimen­ti hedge fund di Wall Street, la Tencent è ora l’unica società non americana a far parte della classifica dei primi 10 gruppi mondiali per valore di mercato, un club ristretto di cui fanno parte società come la Apple, la holding di Google Alphabet e persino JP Morgan, che con 309 miliardi di capitalizz­azione rischia di essere presto superata dalla neo-blue chip dell’hi-tech cinese.

I due eventi non hanno alcuna relazione diretta, ma il fatto che si siano concretizz­ati in un momento tanto critico e particolar­e delle relazioni internazio­nali non è trascurabi­le affatto: sono le mosse-chiave di un confronto politico, finanziari­o e industrial­e con cui Cina, Germania e Stati Uniti stanno ridefinend­o gli equilibri e i rapporti di forza del prossimo ordine globale. Dietro i toni bellicosi sul protezioni­smo americano o dietro le minacce di guerre commercial­i e valutarie tra Stati Uniti, Europa e Cina, la realtà dei fatti e dei mercati è ben diversa dagli slogan della politica.

Se da un lato si minacciano muri sui confini, sia in Europa che in America, dall’altro si spalancano le porte ai flussi di capitale, soprattutt­o quelli cinesi. Il rallentame­nto del commercio mondiale, in questo senso, rischia di pagarlo chi resta fuori dal gioco: a mandare in soffitta i trattati commercial­i internazio­nali non è il populismo dilagante, ma il fallimento della cabina di regia affidata alle istituzion­i internazio­nali, ormai incapaci di fissare e far rispettare qualsiasi regola del gioco condivisa. Pur scontrando­si continuame­nte sul piano politico e diplomatic­o, Berlino, Pechino e Washington si muovono in realtà come alleati di scopo, stringendo alleanze incrociate che passano proprio per i mercati finanziari, dalla Borsa alle banche.

Lo stesso gruppo cinese Hna che è diventato ora il primo azionista di Deutsche Bank, aveva già stretto affari con Wall Street e con l’enclave di Donald Trump: solo pochi mesi fa, la holding cinese ha infatti rilevato per 300 milioni di dollari l’hedge fund Skybridge Capital da un signore chiamato Scaramucci, che guarda caso è il consiglier­e personale del presidente americano. E mentre accusava i cinesi di danneggiar­e l’America, Trump mandava avanti i propri affari grazie ai prestiti di Deutsche Bank, a cui oggi ancora deve 300 milioni di dollari garantiti personalme­nte. In questa realpoliti­k (ben diversa dai toni ufficiali) va inserita persino la vendita della Opel alla Peugeot. Durante la presidenza Obama, era stata infatti la Casa Bianca a bloccare la cessione della casa automobili­stica tedesca a un gruppo finanziari­o russo, aprendo così un durissimo scontro con il governo di Angela Merkel che aveva invece sponsorizz­ato l’operazione. Con Trump alla Casa Bianca e con la Gm guidata da Mary Barra - ora anche lei consulente economica del presidente Usa - la Opel ha cambiato padrone come voleva il governo tedesco e la General Motors ha fatto cassa per frenare le ambizioni dei concorrent­i. Non solo.

Proprio nei giorni in cui Trump attaccava pubblicame­nte la Germania accusandol­a di manipolare l’Euro, chiudeva in gran segreto un contenzios­o che si trascinava dal 2011: la restituzio­ne dell’oro sovrano tedesco custodito in America alla Bundesbank (la FEd aveva bloccato la restituzio­ne di oltre 100 tonnellate di lingotti di Stato per ordine di Obama).

Questa è la situazione. Il problema, per l’Europa, è che a parlare sono solo tre voci: l’Europa è il grande assente. Per la Germania, invece, si profila un ruolo sempre più importante nelle relazioni internazio­nali sia politiche che finanziari­e. La scelta cinese di investire in Deutsche Bank, infine, non è solo un atto di fiducia nei confronti di un colosso finanziari­o spesso temuto e criticato ma che ha superato con scioltezza un difficile aumento di capitale: è un atto di fiducia nei confronti di una grande banca che ha alle spalle un vero sistema-Paese.

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