Il Sole 24 Ore

Dolce Vita, un bond amaro

- Fabio Pavesi

pL’avevano chiamato “Dolce Vita”, si è rivelato un boccone amarissimo. Altro che clima da Roma anni 60 per quel bond da 375 milioni emesso da Alitalia nel luglio del 2015, quotato sul listino di Dublino e sottoscrit­to inizialmen­te dalla sola Morgan Stanley. Quell’obbligazio­ne senza rating, tasso al 5,25% e scadenza 2020 non è rimasto però nella pancia della banca d’affari per molto tempo. Le Generali se lo sono comprato per un ammontare elevato, ben 300 milioni sui 375 milioni di controvalo­re. Una bella incetta per arrivare ad accollarsi l’80% dell’intero ammontare. Un investimen­to come un altro si dirà. Cedola fissa al 5,25 e duration bassa. Eppure Alitalia e le sue traversie erano più che note a tutti. A fine 2014 il patrimonio è negativo per 212 milioni. Ma era arrivata la cavalleria degli emirati. Etihad entra con il 49%, inietta risorse cash per quasi 400 milioni e di fatto il patrimonio a inizio del 2015 era già ripristina­to. Deve essere stato l’arrivo degli arabi ad aver convinto il management di Generali (guidata allora da Mario Greco) che il rischio Alitalia era ormai dietro alle spalle e quindi quel bond dal sapore dolce diventava un investimen­to interessan­te. Ahimè mai supposizio­ne fu più sbagliata. Neanche Etihad ha fatto cambiare rotta al vettore. E così quel bond ha cominciato a tracollare. Ha cominciato a cadere già a inizio anno e ieri è piombato a quota 11. Peggio di un bond greco. Del resto c’è aria di default altro che Dolce Vita.

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