Il conto dell’uscita c’è anche per chi resta
p «Il negoziato con Londra sarà difficile» come «difficile sarà mantenere l’unità a 27. Quando tratteremo del bilancio, ci saranno decisioni difficili. Ci sono quelli che non vogliono pagare un soldo in più e quelli che non vogliono perdere un soldo». Al termine del vertice di sabato scorso, Jean-Claude Juncker ha sintetizzato così gli “effetti tossici” che Brexit sta scatenando nei rapporti tra i 27 che resteranno nell’Unione europea dopo l’uscita di Uk.
La questione rischia di avere «effetti strutturali molto più importanti» sul bilancio post2020 (Multiannual Financial Framework) rispetto a quelli una tantum della chiusura del periodo in corso. L’uscita del Regno Unito, ricorda l’Istituto “Jacques Delors”, lascerà un «buco permanente» di circa 10 miliardi l’anno nel bilancio Ue, pari al contributo netto di Londra. Se il negoziato non consentirà di ridurre questo gap e se l’obiettivo è mantenere invariato il livello di spese e di investimenti, occorrerà coprirlo. Ma come? Aumentare i contributi dei 27 rispetto all’1% attuale del Pil è impresa ardua. L’alternativa è tagliare le spese. Ma se nel primo caso sarebbero colpiti i Paesi contributori netti, nel secondo a farne le spese sarebbero quelli che hanno un saldo positivo nel dare e avere con la Ue.
Ma c’è anche un altro effetto collaterale: la fine del “rebate” concesso al Regno Unito farà cadere anche il “rebate of the rebate” di cui godono Germania, Austria, Olanda e Svezia che - a bocce ferme - dovranno automaticamente a pagare di più. Per i tedeschi il conto più salato: 3,5 miliardi all’anno. Ma anche gli altri dovrebbero pagare di più. Per l’Italia siamo nell’ordine di un miliardo.
Dei tre scenari che l’Istituto Delors propone, quello di compromesso (metà tagli e metà aumento dei contributi) sembra il più pluasibile, con almeno due conseguenze. La prima è che le politiche agricola e di coesione subiscano comunque dei tagli. La seconda, non necessariamente negativa, è che mutino profondamente gli equilibri e le dinamiche in Consiglio. Una chance è aumentare le risorse proprie della Ue come suggerito dal gruppo di guidato da Mario Monti. Ce n’è abbastanza per dire che Juncker è stato facile profeta.