Il Sole 24 Ore

Il conto dell’uscita c’è anche per chi resta

- Giuseppe Chiellino @chigiu

p «Il negoziato con Londra sarà difficile» come «difficile sarà mantenere l’unità a 27. Quando tratteremo del bilancio, ci saranno decisioni difficili. Ci sono quelli che non vogliono pagare un soldo in più e quelli che non vogliono perdere un soldo». Al termine del vertice di sabato scorso, Jean-Claude Juncker ha sintetizza­to così gli “effetti tossici” che Brexit sta scatenando nei rapporti tra i 27 che resteranno nell’Unione europea dopo l’uscita di Uk.

La questione rischia di avere «effetti struttural­i molto più importanti» sul bilancio post2020 (Multiannua­l Financial Framework) rispetto a quelli una tantum della chiusura del periodo in corso. L’uscita del Regno Unito, ricorda l’Istituto “Jacques Delors”, lascerà un «buco permanente» di circa 10 miliardi l’anno nel bilancio Ue, pari al contributo netto di Londra. Se il negoziato non consentirà di ridurre questo gap e se l’obiettivo è mantenere invariato il livello di spese e di investimen­ti, occorrerà coprirlo. Ma come? Aumentare i contributi dei 27 rispetto all’1% attuale del Pil è impresa ardua. L’alternativ­a è tagliare le spese. Ma se nel primo caso sarebbero colpiti i Paesi contributo­ri netti, nel secondo a farne le spese sarebbero quelli che hanno un saldo positivo nel dare e avere con la Ue.

Ma c’è anche un altro effetto collateral­e: la fine del “rebate” concesso al Regno Unito farà cadere anche il “rebate of the rebate” di cui godono Germania, Austria, Olanda e Svezia che - a bocce ferme - dovranno automatica­mente a pagare di più. Per i tedeschi il conto più salato: 3,5 miliardi all’anno. Ma anche gli altri dovrebbero pagare di più. Per l’Italia siamo nell’ordine di un miliardo.

Dei tre scenari che l’Istituto Delors propone, quello di compromess­o (metà tagli e metà aumento dei contributi) sembra il più pluasibile, con almeno due conseguenz­e. La prima è che le politiche agricola e di coesione subiscano comunque dei tagli. La seconda, non necessaria­mente negativa, è che mutino profondame­nte gli equilibri e le dinamiche in Consiglio. Una chance è aumentare le risorse proprie della Ue come suggerito dal gruppo di guidato da Mario Monti. Ce n’è abbastanza per dire che Juncker è stato facile profeta.

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