Algeria, la stabilità precaria alla prova degli elettori
Milioni di algerini ieri erano spasmodicamente incollati alla tv. Non per seguire le loro elezioni per i 462 seggi dell’Assemblea Nazionale, che si svolgono oggi, ma per il duello Macron-Le Pen dove fanno il tifo per il primo. Le memorie laceranti della guerra di indipendenza dalla Francia, un milione di morti, come quelle del decennio nero del terrorismo islamico e della “guerra sporca” degli anni’90 - altre 200mila vittime - sono sempre vive come un fardello sanguinoso, con il carico culturale e delle migrazioni, che questa Algeria, assai delusa dalla politica locale, si trascina dietro insieme agli interrogativi sulla successione al presidente Abdelaziz Bouteflika.
Il 60-70% della popolazione ha meno di trent’anni quindi la gran parte degli algerini giovani ha conosciuto soltanto lui come guida, un valoroso ma anziano signore in sedia a rotelle che parla attraverso proclami letti dagli speaker in televisione: questa generazione non ha visto alcuna forma di alternanza ed è probabile che le elezioni saranno vinte ancora una volta dal Fronte di liberazione nazionale (Fln).
In realtà il vero potere, dall’indipendenza nel 1962 dopo 130 anni di colonialismo francese, è in mano a un intreccio inestricabile di connivenze tra politici e generali (definito “Le pouvoir”) che sembra avere inchiodato l’Algeria nell'immobilismo, soprattutto dopo il decennio degli anni di piombo, quando la vittoria elettorale del Fronte islamico di salvezza (Fis) fu cancellata da un colpo di stato. I partiti islamisti oggi sono frazionati e poco convincenti, sovrastati, anche simbolicamente, dal minareto di 270 metri, il più alto del mondo, della nuova moschea di Algeri fortemente voluta dal presidente e costruita da imprese cinesi.
Ma come sappiamo bene niente a volte è più ingannevole dell’apparente calma piatta dei nostri vicini della sponda Sud. Le tensioni che hanno accompagnato la preparazione delle elezioni sono state numerose e a queste si aggiungono le incertezze che da tempo attraversano il paese: la successione a Bouteflika, 80 anni, in carica dal 1999 e che dovrebbe restarci (non si sa come) fino al 2019; la minaccia terroristica, aggravata dall’instabilità regionale; l’incerto futuro dell’economia basata sulle esportazioni di gas, tenuta sotto scacco dal calo del prezzo del petrolio. Le sfide con cui questo “rentier state” dovrà confrontarsi sono enormi e riguardano anche l’Italia e l’Europa, che nell’Algeria hanno un partner energetico di fondamentale importanza. È questo anche lo Stato più grande del continente che in anni tellurici è apparso incarnare una sorta di singolare stabilità a fronte degli stravolgimenti prodotti in Medio Oriente e Nord Africa dalle cosiddette primavere arabe ma che si trova oggi in una sorta limbo. Stretta tra la voglia di cambiamento, la necessità di riformare il sistema economico e la paura di cadere nella spirale di una transizione incontrollata, l’Algeria sente che questa condizione di “eccezionalità” potrebbe, da un momento all’altro, dimostrarsi più fragile che mai.
I conti economici sono preoccupanti: le riserve valutarie, che nel 2013 ammontavano a quasi 200 miliardi di dollari, sono ridotte a 90 e diventeranno un terzo nel 2018 rispetto a cinque anni fa. Questo significa che il Paese non è in grado di dare da mangiare a tutti e oggi può pagarsi importazioni di beni, merci e servizi, per un anno e mezzo mentre il potere d’acquisto del dinaro si sta drasticamente riducendo.
Eppure questi schermi algerini dove la serate delle famiglie sono dominate dal match Macron-Le Pen ci dicono molto anche sulla Francia di oggi: la guerra d’Algeria, definita qui in febbraio da Macron «un crimine contro l’umanità», rappresenta una delle più insanabili e longeve fratture della società francese, un passato dove affonda una delle sue radici tradizionali il Front National, portabandiera del reducismo. «In Algeria ho torturato perché era necessario farlo», ha dichiarato una volta Jean-Marie Le Pen.
La guerra d'’lgeria, sostiene lo storico Benjamin Stora (che in Algeria è nato), è stata anche una guerra civile francese tra opposte visioni del mondo: una ancorata a una visione della Francia imperiale, di cui l’ Algeria era il cuore pulsante, l’altra di un Paese che respingeva il colonialismo.
Negli anni è emersa una terza dimensione degli eventi, ancora più complicata, che ha intrecciato il destino degli algerini di Francia agli algerini d'Algeria e di nuovo a quello dei francesi con il decennio nero del terrore, del jihadismo, del cortocircuito dell’integrazione e delle crisi ricorrenti di identità. Questo rimbalzo tra elezioni francesi e algerine è il riflesso, forse ingannevole, di un legame quasi inestricabile.
LE INCOGNITE La leaderhip del presidente Bouteflika, anziano e malato, resta un’ipoteca sul futuro di un Paese che segue con più interesse il voto francese