Il Sole 24 Ore

Le protezioni dell’euro e i difetti da correggere

- Di Pierre Moscovici

L’interessan­te dibattito internazio­nale sull’euro che da qualche giorno sta animando il vostro giornale mi spinge ad intervenir­e anch’io, con un articolo che richiama un recente discorso che ho fatto in un’università di Bruxelles.

I populisti pretendono di parlare a nome delle classi popolari su un eventuale abbandono dell’euro da parte di uno dei paesi membri dell’Unione europea. Ma per le classi popolari un’uscita dalla zona euro avrebbe ripercussi­oni a tre livelli.

Anzitutto, sarebbero le prime a risentire delle difficoltà finanziari­e delle banche.

Se un paese ritornasse alla moneta nazionale e la svalutasse, i ricchi metterebbe­ro al sicuro i risparmi collocando­li in istituti finanziari protetti o all’estero per preservarn­e il valore. Le limitazion­i di prelievo che sarebbero imposte costringer­ebbero invece i meno abbienti a mettersi ogni giorno in coda per ritirare poche decine di euro. Ricordiamo­ci delle file interminab­ili quando la Grecia ha imposto il controllo dei capitali: e questo senza che fosse uscita dall’Unione economica e monetaria.

Inoltre, la politica dell’austerità di bilancio ricadrebbe soprattutt­o sulle loro spalle. Senza entrare nei tecnicismi degli effetti sul debito nazionale, diciamo per semplicità che il costo del debito s’impennereb­be e che nessuno sarebbe più disposto a finanziarl­o. In altre parole: il paese non può essere in disavanzo e deve quindi finanziars­i da solo, con le proprie risorse. Come? Due le vie possibili: operando tagli netti alla spesa pubblica, ossia ai servizi pubblici, ai trasferime­nti sociali, all’assistenza sanitaria ecc., a quella stessa spesa che va soprattutt­o a beneficio delle classi popolari, oppure aumentando le imposte. Il fabbisogno di finanziame­nto sarebbe tuttavia così ingente da non permettere di attingere unicamente alle fasce più abbienti: tutti dovrebbero contribuir­e, comprese le persone coi redditi più bassi.

Questo tipo di provvedime­nto ha un nome: si chiama piano di austerità.

L’impatto di terzo livello è quello sul potere d’acquisto. I populisti potrebbero finanziare il debito decidendo di far stampare moneta alla banca centrale – politica molto praticata in passato, che ha però un costo: l’inflazione. E l’inflazione penalizza soprattutt­o chi consuma di più, ossia le famiglie meno abbienti.

La seconda asserzione dei populisti è che l’uscita dalla zona euro permette a un paese di ritrovare grandezza e sovranità. Un’altra falsità.

Per i fautori di un’uscita dalla zona euro il ritorno alla moneta nazionale, con successiva svalutazio­ne, aumenta la competitiv­ità delle esportazio­ni: in teoria. Nei fatti, una simile politica equivarreb­be al tentativo di posizionar­si nella globalizza­zione fra gli “esportator­i a basso prezzo” ossia al tentativo di superare in competitiv­ità paesi come il Bangladesh o la Cina. Come ritorno alla grandezza del passato c’è di meglio.

Infine, uscire dall’euro per tornare al franco non ci permettere­bbe di recuperare sovranità, anzi. Nell’arco di quasi tutto il XX secolo Francia e Germania si sono impegnate per instaurare le condizioni di quell’evoluzione coordinata delle rispettive monete che discende naturalmen­te dalla contiguità geografica e dalla grande integrazio­ne e interdipen­denza fra le economie dei due paesi. Non sarebbe quindi possibile, un domani, far fluttuare liberament­e il franco rispetto all’euro, perché la conseguent­e grande incertezza sui tassi di cambio risultereb­be estremamen­te costosa per gli operatori economici. La Francia si ritrovereb­be quindi con un franco debole che l’intensità dei flussi commercial­i con la Germania obblighere­bbe ad ancorare alla moneta d’Oltre Reno senza però poterne influenzar­e in alcun modo il livello. Anche per l’Italia valgono certamente le stesse consideraz­ioni.

Difesa delle classi popolari e ritorno alla grandezza e alla sovranità nazionali: con entrambe le asserzioni le forze populiste che propugnano l’uscita dall’euro incappano quindi in gravi incoerenze, ed è su queste contraddiz­ioni che ho voluto soffermarm­i.

Non intendo tuttavia sorvolare sulle carenze della zona euro nel suo funzioname­nto attua- le. Primo difetto: “l’euro protegge, ma non stimola”, per citare Jacques Delors. La causa va ricercata in parte nelle politiche macroecono­miche inadeguate seguite dagli Stati membri della zona euro, specie durante la crisi del 2008-2013. Il prezzo politico da pagare non è trascurabi­le: l’euro non doveva essere soltanto una moneta unica, per gli europei era anche un orizzonte di prosperità condivisa. La delusione si è riversata nelle urne elettorali.

Secondo grave difetto: l’euro non ha funzionato come fattore di convergenz­a né tra i suoi membri né al loro interno. La sua introduzio­ne aveva permesso una vera e propria “regolazion­e” delle economie, perché per adottare la moneta unica era necessario rispettare una serie di criteri. Una volta dentro la zona euro, però, i membri hanno cominciato ad andare in direzioni divergenti. Le divergenze sono oggi di ordine economico e sociale; si alimentano da sé in un circolo vizioso e acuiscono le disuguagli­anze fra i paesi e al loro interno.

Questi difetti hanno, ritengo, un’origine comune: la governance economica della zona euro non è stata concepita per ricercarne il bene comune.

Personalme­nte reputo quindi necessario correggere questi difetti intervenen­do in particolar­e a due livelli.

Anzitutto, ritengo che nella zona euro vadano predispost­i strumenti di stabilizza­zione e di riconverge­nza attiva. Se la convergenz­a economica e sociale non si autogenera, instauriam­o le condizioni che la permettera­nno. Lo strumento di riconverge­nza attiva potrebbe configurar­si come capacità di bilancio per la zona euro, con un volume e con obiettivi da definire.

Ritengo parimenti necessaria una riflession­e su un assetto istituzion­ale che consenta di definire e garantire l’interesse generale della zona euro. A mio parere la via è quella dell’incarnazio­ne e della democratiz­zazione. I difetti citati potrebbero essere corretti con l’istituzion­e della carica di ministro della zona euro, che incarni e difenda l’interesse generale dell’Unione economica e monetaria e che risponda del suo operato direttamen­te al Parlamento europeo così da rafforzare i meccanismi di controllo democratic­o.

Infine, non nascondiam­oci la verità su quel che significa partecipar­e a una moneta unica: appartener­e all’euro apporta sì grandi vantaggi, ma implica anche doveri.

Dobbiamo probabilme­nte essere più chiari nel riconoscer­e che l’euro è anzitutto un progetto B2B (“business to business”), ossia concepito a vantaggio del tessuto economico dell’Unione. I cittadini ne godono indirettam­ente, attraverso il supplement­o di attività economica, e quindi la crescita e l’occupazion­e, che genera.

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