Petrolio giù del 5% Affondano anche i prezzi di oro e rame
Sfuma la fiducia nell’Opec e il Brent scivola a 48 dollari - Timor i su Cina e Fed Forti ribassi anche per i metalli, dall’oro al rame
pLe materie prime sono di nuovo nella bufera, con vendite che hanno cominciato ad abbattersi con forza non solo sul petrolio –che è crollato ai minimi da 5 mesi, col Brent sotto 50 dollari al barile – ma anche sui metalli. Persino l’oro sta perdendo quota, con un ribasso di oltre l’1% ieri, che l’ha portato a 1.225 $/oncia, livello che non toccava da metà marzo. Ma sono soprattutto i metalli industriali a soffrire: anche il rame, come il petrolio, è ai minimi da novembre (5.494 $/tonnellata), dopo un ribasso di circa il 5% in due giorni, un cedimento che non si vedeva dal 2015.
La Cina – dove è in atto una nuova stretta creditizia e stanno crollando listini azionari e commodities – esercita un forte in- flusso negativo, che si somma a una serie di altri fattori ribassisti, compresa l’attesa di un rialzo dei tassi di interesse negli Usa (che tra l’altro rafforza il dollaro).
Per il petrolio ci sono anche fattori specifici, a cominciare dalla crescente sfiducia sulla capacità dell’Opec di riequilibrare il mercato. Il prezzo del barile, già in discesa da giorni, ieri ha accelerato il ribasso, scivolando di circa il 5% su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico, per chiudere ai livelli più bassi da fine novembre, alla vigilia dell’accordo Opec sui tagli di produzione: 48,38 $ per il Brent e .45,52 $ per il Wti.
A quattro mesi dall’entrata in vigore del piano – applicato con una disciplina senza precedenti dall’Opec e dai suoi alleati – l’im- patto non è stato quello sperato: gli analisti sono tuttora convinti che le scorte petrolifere si ridurranno in modo sensibile nella seconda metà dell’anno, ma finora non ci sono stati segnali suffienti per convincere gli scettici. Le statistiche più visibili, puntuali ed attendibili, quelle dagli Stati Uniti, mostrano in effetti una situazione scoraggiante, con scorte di greggio che si riducono troppo lentamente, a fronte di un nuovo accumulo di prodotti raffinati, che appare legato anche a un calo dei consumi di benzina. E poi c’è lo shale oil: negli Usa le estrazioni di greggio (anche convenzionale) aumentano da 11 settimane consecutive e l’output ha già raggiunto 9,3 milioni di barili al giorno, un record da agosto 2015.
L’Opec – ormai viene dato per scontato – il 25 maggio decreterà una proroga dei tagli, ma si sta diffondendo il timore che anche questo sacrificio non sarà sufficiente. Inoltre ci sono dubbi sulla tenuta dell’alleanza con la Russia e gli altri produttori esterni al gruppo. «Convincere diversi Paesi non Opec a seguirli sarà una sfida – osserva Abhishek Kumar, senior energy analyst di Interfax – La persistente crescita della produzione Usa inoltre rende improbabile che i limiti vengano estesi oltre il 2017». «A un certo punto – rincara Eugene Weinberg, di Commerzbank – il mercatodovrebbericonoscereche l’attore più importante non è più l’Opec. Sono piuttosto i non Opec e, più di ogni altro, lo shale Usa».