Il Sole 24 Ore

«Il private equity può ridurre il gap»

- Gianni Trovati

pIl Sud deve agganciare le medie nazionali anche nell’apertura del capitale delle imprese alla finanza alternativ­a e al private equity. Ma non solo: la riduzione del gap con le aree più dinamiche del Paese è tra gli obiettivi strategici di tutto il pacchetto “finanza per la crescita” messo in pista dal governo e rilanciato anche dal decreto con la manovra correttiva ora in discussion­e alla Camera.

«Negli ultimi anni - ragiona Fabrizio Pagani, capo della segreteria tecnica del ministro dell’Economia Padoan - gli investimen­ti del private equity in Italia sono cre- sciuti fino a 10 miliardi, e il nostro Paese è cresciuto nei portafogli degli operatori specializz­ati passando dal 10 al 25 per cento». Il Mezzogiorn­o, però, non è riuscito finora a coprire un ruolo centrale in questa crescita, perché solo un euro su dieci investiti in Italia è finito nel capitale delle imprese del Sud: «Una percentual­e non insi- gnificante ma ancora modesta», secondo il giudizio di Pagani. Qualcosa comunque si muove: delle 344 imprese italiane (36,6 miliardi di fatturato aggregato e 142mila dipendenti) coinvolte nel progetto Elite lanciato da Borsa Italiana per avvicinare imprese e mercato dei capitali, 50 sono del Sud e 26 si concentran­o in Campania.

Il cambio di ritmo, però, appare un passaggio fondamenta­le sulla scorta dei dati empirici offerti dalle “prove sul campo”, che secondo i tecnici del governo confermano i migliori risultati in termini di crescita dei ricavi e degli utili ottenuti dalle aziende che si aprono al private equity: «Risultati - aggiunge il capo della segreteria tecnica del Mef - che hanno ricadute importanti anche in termini occupazion­ali», per sottolinea­re l’impostazio­ne pro-imprese, e non “pro-fondi” come evocato in qualche polemica recente, delle misure sulla finanza innovativa.

Da questo punto di vista, il lavoro viaggia su un doppio terreno. L’attenzione è oggi sul piano operativo, con l’incontro di ieri a Napoli chiamato a sviluppare una sorta di “proselitis­mo” fra le imprese per la diffusione dei nuovi strumenti, ma prosegue l’azione normativa per intercetta­re meglio tutte le opzioni in gioco.

La novità centrale portata dalla “manovrina” è quella del «carried interest», cioè la norma acchiappa-fondi che sottopone alla tassazione al 26%, quella prevista per i redditi da capitale, i proventi da partecipaz­ione in fondi percepiti da dipendenti, amministra­tori o consulenti delle società di investimen­to. La mossa, che evita ai manager la normale tassazione progressiv­a fino al 43% prevista per i redditi da lavoro, è stata concepita per sgombrare il campo da una serie di incertezze interpreta­tive e attirare in Italia i fondi stranieri. «Anche questa misura - spiega Pagani - si inquadra nella strategia di attrazione di capitali potenzialm­ente in uscita da Londra per l’effetto Brexit», una partita che interessa prima di tutto Milano ma che nell’ottica del governo può spingere l’innovazion­e finanziari­a per tutto il Paese. «Si tratta di un chiarimen- to importante - sottolinea Pagani - perché l’incertezza stava frenando investimen­ti importanti», ma anche il passaggio parlamenta­re della “manovrina” potrebbe offrire novità ulteriori. Due, prima di tutto, i temi su cui i tecnici sono al lavoro: un affinament­o del direct lending, cioè i finanziame­nti alle imprese concessi da fondi di credito e assicurazi­oni sempre per superare il «bancocentr­ismo», e una semplifica­zione delle regole sulle cartolariz­zazioni dei crediti, in particolar­e per il settore bancario. «La prossima tappa - aggiunge - è dare visibilità anche in Italia al tema fintech», l’insieme dei servizi finanziari offerti attraverso le nuove piattaform­e tecnologic­he (valute digitali, finanziame­ti peer to peer, crowfoundi­ng).

Per attirare in Italia i fondi internazio­nali sono previste agevolazio­ni di natura fiscale Novità potrebbero arrivare dalla discussion­e alla Camera

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