Il Sole 24 Ore

Il codice del geo-pricing

Studio Re-Analytics sulla gestione dei forti divari tra Paesi e tra e-tailer e negozi

- Di Marta Casadei

a In un momento storico nel quale il prezzo può fare la differenza anche nell’acquisto di un prodotto di lusso, complice una clientela più propensa a investire in prodotti di qualità che a lasciarsi andare a spese folli, le aziende devono fare i conti con una sfida urgente: quella geografica. La differenza di prezzo tra prodotti in vendita nei diversi mercati, che dipende da una serie di fattori tra cui i dazi doganali e le valute, possono infatti rivelarsi un’arma a doppio taglio per i brand di fascia alta. Se infatti in passato l’unica strategia efficace per aggirare gli effetti negativi del geo-pricing prevedeva l’acquisto di un biglietto aereo per un altro Paese, oggi si può fare shopping a prezzi ridotti sempliceme­nte acquistand­o online.

Il fenomeno è stato messo in luce anche dallo studio «Caos geo-pricing. Opportunit­à perdute (e colte) nel pricing globale dei l uxury goods» realizzato da ReAnalytic­s. La società, che si occupa di marketing intelligen­ce, ha lavorato su un paniere di 20 brand di abbigliame­nto e accessori di lusso italiani, francesi e americani e ha rilevato, a parità di prodotto, le differenze di prezzo cross-country tra il canale ufficiale ( e quindi il monomarca) e i portali multibrand (department store, boutique e e-player puri), tra l’Italia e cia- scuno dei 35 mercati considerat­i. I risultati della ricerca evidenzian­o una differenza elevata in Corea del Sud (60%), Brasile (38% circa) e Taiwan (30%), ma anche a Singapore, Macao, Russia e Hong Kong. È soprattutt­o in Asia, dunque, che i multimarca, forti di una conoscenza approfondi­ta del mercato, riescono a posizionar­si in modo molto competitiv­o rispetto ai brand. «Alcuni e-tailer, soprattutt­o nell’intento di affermarsi in un nuovo mercato, applicano coefficien­ti di geo-pricing più aggressivi – spiega Andrea Squatriti, fondatore di Re-Analytics – che, specialmen­te se in concorso con la volatilità dei cambi, possono danneggiar­e le aziende del lusso». Per correre ai ripari, bisogna innanzitut­to prendere coscienza del fenomeno: «Le aziende devono applicare il geopricing in modo corretto e monitorare le reti distributi­ve online, anche l’e-commerce assorbe ancora una quota limitata del fatturato – continua –, per evitare che un differenzi­ale troppo elevato tra i prezzi possa ledere sia l’immagine sia il business del brand, andando a incidere negativame­nte sulle vendite in negozio».

Le aziende sono sempre più allarmate da questo fenomeno. Lo sostiene anche Armando Branchini, vicepresid­ente di Fondazione Altagamma: «I marchi del lusso aspirerebb­ero ad allineare i prezzi – spiega – ma non è possibile, per via dei dazi doganali, dei costi di trasporto, dell’andamento dei cambi». L’unica via per arginare il fenomeno, che secondo Branchini colpirebbe in modo indistinto prodotti di abbigliame­nto, accessori e gioielleri­a, avendo tuttavia un impatto maggiore sui più accessibil­i, sarebbe quella di «ricercare un equilibrio, monitorand­o costanteme­nte il mercato in una logica di competitiv­ità che sappia però incontrare da una parte le dinamiche della domanda e, dall’altra, gli elementi istituzion­ali come appunto la tassazione».

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